Il difficile momento storico che stiamo vivendo ci insegna che la diffusione di nuovi patogeni è l’inevitabile risposta della natura all’assalto dell’uomo, e che quello che accade in zone che ci sembrano remote in realtà può finire per riguardarci molto da vicino. 

Oggi, 17 aprile, giornata mondiale della lotta contadina, si commemora la strage del 17 aprile 1996, quando 19 contadini vennero uccisi mentre occupavano delle terre incolte a Eldorado do Carajas, nello stato del Parà in Brasile.

Ventiquattro anni dopo, la situazione in Brasile è ancora molto difficile. Oggi vogliamo raccontarvi cosa accade nel Cerrado brasiliano, la savana più ricca di biodiversità del mondo, casa di numerosi Popoli Indigeni e comunità tradizionali che tutt’ora si trovano a dover fronteggiare la brutale avanzata dell’agricoltura industriale. Lo facciamo condividendo con voi il quarto episodio della Web serie “cibo che divora le foreste” (disponibile su Youtube), in cui denunciamo gravi episodi di violenza perpetrati ai danni dei geraizeiros, una comunità tradizionale che abita l’area occidentale dello stato di Bahia, da parte del servizio di sicurezza della gigantesca azienda agricola Agronegocio Estrondo.

Le proprietà di Estrondo occupano un’area estesa quattro volte la città di New York: si tratta prevalentemente di piantagioni di soia, in gran parte destinata all’esportazione. Per raggiungere questa estensione, Estrondo ha fatto spesso ricorso alla violenza e, nonostante l’impunità che spesso interessa le aree remote e rurali del Brasile, sta accumulando accuse di accaparramento delle terre, deforestazione illegale e minacce alle comunità locali.

Nel gennaio 2019 membri del servizio di sicurezza di Estrondo hanno sparato ad un uomo che stava cercando di recuperare il bestiame della sua famiglia. Solo qualche mese dopo, a maggio, Greenpeace Brasile e alcuni operatori del canale televisivo tedesco ARD Weltspiegel hanno assistito e documentato un altro episodio di intimidazione: alcuni uomini armati hanno fatto irruzione nella casa di uno degli abitanti della comunità.

I gerizeiros si dedicano prevalentemente all’agricoltura di piccola scala e lavorano terre considerate di proprietà di tutta la comunità, tramandate di generazione in generazione. La loro sopravvivenza è strettamente legata alla conservazione del Cerrado, dove coltivano prevalentemente specie endemiche di fagioli, manioca, frutta e verdura. La creazione di grandi monocolture e pascoli estesi rappresenta una grave minaccia per loro: oltre ad essere allontanati con minacce e violenza dalle loro terre, queste attività implicano deforestazione e un impiego massiccio di prodotti fitosanitari che finiscono nel suolo e nell’acqua, causando notevoli problemi alla salute di persone e animali.

Nonostante i principali commercianti di materie prime a livello globale – Cargill e Bunge – si siano impegnati da tempo a ripulire le proprie filiere, continuano ad acquistare soia da Estrondo. Soia destinata anche al mercato europeo, che noi non vedremo direttamente sugli scaffali dei supermercati o nei menù dei fast food, ma che finisce indirettamente nei nostri piatti perché viene utilizzata per alimentare animali spesso rinchiusi in allevamenti intensivi, destinati alla produzione di carne, latte e derivati. Per questo continuiamo a chiedere ai governi e alle aziende europee di smettere di importare deforestazione. Inoltre, considerando il grave rischio che la pandemia di Covid-19 si diffonda in aree del Brasile – come l’Amazzonia e il Cerrado – chiediamo al governo brasiliano di ascoltare le richieste delle comunità indigene e tradizionali, in modo da mettere immediatamente in atto azioni concrete per proteggere questi biomi e la salute dei Popoli che li abitano.

Cosa fa l’Europa?

L’Ue deve impegnarsi a proteggere le foreste del mondo e i diritti di chi le abita e le difende, introducendo una normativa in grado di garantire che i prodotti commerciati in Europa non siano legati a deforestazione e violazione dei diritti umani.

La PAC (Politica agricola comune) deve essere riformata, tagliando i sussidi pubblici destinati al sistema degli allevamenti intensivi, che dipende fortemente dalle importazioni di alimenti per animali, come la soia, per destinare quegli stessi fondi a produzioni ecologiche.

Una distribuzione iniqua delle risorse penalizza i piccoli agricoltori, spingendo le piccole aziende a chiudere e le grandi a diventare sempre più grandi e padrone del mercato. Per rendere il sistema agroalimentare europeo ecologicamente compatibile è invece necessario invertire questa rotta, puntando sui contadini, che rischiano di essere le tra le prime vittime della crisi economica connessa alla pandemia di Covid-19.

I fondi pubblici europei, attraverso politiche come la PAC e la strategia “Farm to fork”, devono essere impiegati a sostegno di una transizione verso modelli di produzione ecologica su piccola scala, accompagnata dall’adozione di diete maggiormente basate su prodotti di origine vegetale. Solo in questo modo potremo tutelare la salute nostra, della nostra terra, e di coloro che la lavorano, ovunque essi vivano.