An activist holds a banner reading ‘Climate Change Starts Here’ during the occupation of the ‘Prezioso’ offshore oil rig operated by the Italian oil company ENI in the Sicilian Channel.

Tempo di nomine: in questi giorni, sia nell’ambito politico che in quello mediatico, si discute del rinnovo dei management di molte società a partecipazione statale e Eni, che appartiene per il 30% allo Stato, non fa eccezione. Entro lunedì infatti il governo Conte dovrebbe presentare le proprie proposte di nomi, che saranno poi vagliate, ed eventualmente ufficializzate, durante le Assemblee dei soci delle compagnie interessate.

La partita sulle nomine è ancora aperta, ma tutti sappiamo che è importante che si dibatta soprattutto di temi, piuttosto che di nomi. Chiunque verrà scelto al vertice dovrà immediatamente invertire la rotta rispetto a quanto fatto e programmato fino ad oggi. Chiediamo ad Eni di intraprendere un vero processo di decarbonizzazione, per affrontare la crisi climatica in corso, e di smettere di proporre piani altisonanti dalla dubbia efficacia.

Riteniamo infatti che il “Piano strategico di lungo termine al 2050” e il “Piano d’azione 2020 – 2023”, annunciati dall’azienda come “un passo fondamentale” per “l’evoluzione di Eni nei prossimi 30 anni”,siano assolutamente incompatibili con qualsiasi tentativo plausibile di rispettare gli accordi di Parigi.

Si tratta di due piani che non tengono assolutamente conto delle indicazioni della scienza. Insomma, la tanto sbandierata svolta verde di Eni si dimostra solo fumo negli occhi.

Secondo quanto previsto dalla compagnia, nei prossimi sei anni la produzione di idrocarburi (petrolio e gas) aumenterà in media del 3,5% all’anno. Gli investimenti previsti da Eni nel nuovo piano 2020-2023 sulle rinnovabili ammontano invece a 2,6 miliardi di euro, ovvero poco più di un decimo di quanto l’azienda ha scelto di investire, nei prossimi quattro anni, in attività di esplorazione e estrazione di petrolio e gas (24 miliardi di euro). Inoltre, il Cane a sei zampe non ha reso noti obiettivi di riduzione delle emissioni nel breve-medio periodo, ma una crescita di queste ultime sembrerebbe invece essere assolutamente plausibile, dato l’aumento della produzione previsto fino al 2025.

Per la comunità scientifica abbiamo circa dieci anni per limitare le conseguenze della crisi climatica in corso. Ebbene, anziché agire in tal senso, Eni vorrebbe usare sei di questi dieci anni addirittura per aumentare la propria produzione di petrolio e gas!

Se l’azienda vuole davvero fare la propria parte per evitare l’aggravarsi dell’emergenza climatica, deve mettere le energie rinnovabili al centro del proprio piano, e non continuare a prevedere un aumento della produzione di idrocarburi, puntando tutto su strumenti vaghi e ancora poco affidabili per compensare le proprie emissioni.

Ci sono infatti enormi dubbi sulle soluzioni che l’azienda propone per compensare le proprie emissioni, dato che non sono stati forniti dettagli sui piani di conservazione delle foreste e riforestazione (REDD+). Inoltre, la tecnologia di cattura e stoccaggio della CO2 (CCS) su cui l’azienda punta è ancora non affidabile, costosa e non dà garanzie in fatto di sicurezza ambientale.

Eni ha recentemente rivisto il proprio piano di investimenti per il 2020 e 2021 a causa della pandemia di Covid-19, ma questo non cambia la sostanza della sua strategia, che resta fortemente improntata sugli idrocarburi.

Anche per questo riteniamo fondamentale la presenza all’interno del nuovo management di competenze legate al mondo della decarbonizzazione e della transizione energetica. Bisogna essere chiari: occorre un deciso cambio di rotta, per evitare che si continui sul sentiero del “business as usual” che ha fatto di Eni una delle aziende del Pianeta con maggiori responsabilità della crisi climatica in corso.