Fire boat response crews battle the blazing remnants of the off shore oil rig Deepwater Horizon.

Transocean era sconosciuta ai più fino al 20 aprile 2010. Quel giorno, operando sul pozzo Macondo (Golfo del Messico) per conto di British Petroleum (BP), si fece conoscere al mondo con il botto spettacolare della sua piattaforma di trivellazione Deepwater Ocean: 11 morti e 17 feriti, e poco meno di 2 mila chilometri quadrati di mare inquinato da almeno 680 mila tonnellate di petrolio.

Adesso, Transocean ha trovato un’altra occasione per finire in prima pagina: di fatto, vuole cancellare Greenpeace. Almeno nel Regno Unito. La magnifica accoppiata Transocean/BP si è rimaterializzata l’anno scorso al largo delle coste scozzesi, per trivellare i fondali del Mare del Nord.

Gli attivisti di Greenpeace UK hanno bloccato quest’ennesima follia per dodici giorni. Per cacciarli, Transocean aveva chiesto e ottenuto una sorta di “sentenza provvisoria” per fermare la protesta e adesso accusa Greenpeace di aver continuato a protestare “violando” quella interdizione. Transocean chiede danni per milioni di euro e l’arresto per il Direttore di Greenpeace UK, John Sauven. Conosco John da un bel po’, e non è tipo da farsi spaventare.

Il suo commento è stato: “Transocean, l’operatore della trivella di BP, sta cercando disperatamente di spaventarci. Ma noi non ci faremo tappare la bocca. Difenderemo fieramente in tribunale il nostro diritto a protestare pacificamente. Perché fermare la trivella di BP era un nostro obbligo morale davanti ai giganti del petrolio che alimentano il cambiamento climatico, minacciano la sicurezza del Pianeta e mettono in pericolo le nostre vite”.

Dichiarazioni che, dopo la sentenza che ha bloccato la terza pista dell’Aeroporto di Heathrowperché non prendeva in considerazione gli impegni sul clima”, assumono una dimensione ancora più chiara. Ora che i nodi vengono al pettine, i giganti fossili hanno sempre più paura di essere seduti su quella che non è una miniera d’oro ma su una vera e propria bomba ad orologeria. Da qui in avanti, le loro minacce a chi chiede di fermare queste operazioni saranno sempre più frequenti.

A group of baby brown pelicans, completely covered in oil, wait in a holding pen to be treated as part of the cleaning process at the Fort Jackson International Bird Rescue Research Center in Buras.

Come il greenwashing, l’altra strategia preferita dei giganti. Darsi una spolveratina verde, e continuare con gli affari sporchi, è uno sport vecchio come il mondo. Un fenomeno di cui tra l’altro abbiamo già parlato di recente.

Dalle major petrolifere ai finanzieri che le sostengono (come il fondo d’investimenti BlackRock o la banca Intesa Sanpaolo) è tutto un fiorire di promesse, impegni e… affari sporchi di petrolio, carbone o gas. Poteva mancare all’appello BP, proprio adesso che ha tutti i media puntati addosso per “colpa” di Greenpeace? Non poteva, e così Bernard Looney – CEO di BP – si è solennemente impegnato a decarbonizzare completamente entro il 2050 la compagnia che guida. La verità però è un’altra: nei prossimi dieci anni BP ha deciso di investire quasi 65 miliardi di euro nella ricerca di petrolio e gas fossile, mentre per sperare di limitare l’aumento di temperature a 1,5 C° non solo queste ricerche vanno fermate, ma la produzione degli attuali giacimenti di BP dovrebbe ridursi del 9% per il petrolio e del 6% per il gas.

BP, ovviamente, non ha nessuna intenzione di smettere di tirar fuori fossili dal sottosuolo. E d’altra parte è in buona compagnia. Anche il Piano Strategico appena pubblicato da ENI dice chiaramente che “la produzione di gas al 2050 costituirà circa l’85% della produzione totale” e che dovrebbe essere compensata (non si capisce bene in che percentuale) da “progetti di conservazione delle foreste e di cattura e stoccaggio della CO2 per un totale di oltre 40 milioni di tonnellate/anno al 2050”.

Quindi: emissioni certe e “compensazioni” ma chissà come e quando. Di attività di forestazione compensativa dannose (ad esempio piantando specie aliene come la robinia) ne abbiamo già viste parecchie, mentre dopo aver speso ventotto miliardi di euro nella cattura e stoccaggio della CO2, in tutto il mondo ci sono “ben” due progetti operativi (che servono per estrarre meglio il petrolio!).

Bisogna opporsi con sempre maggior forza a questa follia, prima che sia davvero troppo tardi.

Ships surround a controlled burn of oil on the surface of the Gulf of Mexico near BP’s Deepwater Horizon spill source.