In occasione del Sinodo sull’Amazzonia (6 – 27 ottobre 2019) leader e rappresentanti di numerosi Popoli Indigeni sono arrivati a Roma per incontrare il Papa.

L’8 ottobre, tre leader indigeni brasiliani, Adriano Karipuna, José Luis Cassupá e Hozana Puruborà ci hanno onorati con una visita presso l’ufficio di Greenpeace Italia portandoci le loro testimonianze.

Adriano Karipuna, è uno dei leader del Popolo Karipuna, i cui territori si trovano nello stato brasiliano del Rondônia. Negli anni Settanta, quando gli occidentali arrivarono nelle terre dei Karipuna, li sterminarono. Sopravvissero al genocidio solo otto persone, tra cui Katiká Karipuna, il padre di Adriano. Oggi i Karipuna sono 59.

Nel 1998 il territorio dei Karipuna è stato ufficialmente riconosciuto di proprietà del Popolo Karipuna e demarcato (cioè il governo ha affisso dei cartelli che ne delimitano il perimetro): per i Popoli Indigeni del Brasile questo è un importante risultato, perché dovrebbe significare che solo quel determinato Popolo può avere accesso a quel determinato territorio. Ma purtroppo, anche in questo caso le cose non stanno andando come dovrebbero: di fatto, i Karipuna non possono muoversi liberamente nel loro territorio a causa delle costanti invasioni da parte di sicari dell’industria del legname e di aziende che vorrebbero trarre profitto dalla distruzione della foresta, anche a costo di agire illegalmente e persino uccidere chi vorrebbe proteggerla.

Quest’estate i terribili incendi che hanno devastato l’Amazzonia hanno colpito i territori dei Karipuna. Adriano ha precisato che sono state le piogge a spegnere gli incendi, non l’intervento del governo.

Da anni il Popolo Karipuna chiede al governo brasiliano di adempiere al proprio dovere e proteggere la loro terra, la loro foresta e il loro Popolo. Visti gli scarsi risultati raggiunti, Adriano ha deciso di denunciare la situazione in cui versa il suo Popolo anche a livello internazionale: si è recato alle Nazioni Unite a New York e a Ginevra, ha incontrato il Papa in Vaticano e a dicembre sarà in Cile per la COP25.

Hozana Puruborà, leader del Popolo Puruborà, lotta da vent’anni per ottenere il riconoscimento e la demarcazione delle terre che il suo Popolo abita da sempre, ubicate nello stato del Rondônia. Vista la mancanza di collaborazione da parte delle istituzioni, per poter rimanere nei loro territori e proteggerli, i Puruborà dovrebbero acquistare le loro terre ancestrali. Ma le loro possibilità economiche non sono neppure lontanamente paragonabili a quelle dalle grandi aziende dell’agribusiness, interessate solo a rimpiazzare la foresta con pascoli e colture di soia, canna da zucchero, eucalipto.

Durante gli anni Trenta e Quaranta, quando gli occidentali entrarono in contatto con il Popolo Cassupá, lo privarono delle loro terre obbligando gli indigeni a spostarsi nello stato del Rondônia. Non hanno mai smesso di lottare per riaverle e ottenere la demarcazione. José Luis Cassupá si è unito a questa lotta nel 1993 e, in quanto insegnante, si batte anche per il diritto all’istruzione dei Popoli Indigeni.

Dal 19 al 22 ottobre è arrivata in Italia anche una delegazione di leader indigeni i cui Popoli sono raccolti nell’Articolazione dei Popoli Indigeni del Brasile (APIB). La delegazione dell’APIB, che in collaborazione con varie organizzazioni della società civile ha lanciato la campagna “Sangue indigeno: non una goccia di più”, visiterà 12 Paesi europei per denunciare le sistematiche violazioni ai diritti delle popolazioni indigene del Brasile, che si sono intensificate dall’entrata in carica del Presidente Jair Bolsonaro.

La delegazione, formata da Sonia Guajajara, Alberto Terena, Angela Kaxuyana, Celia Xakriabà, Dinaman Tuxà, Elizeu Guarani Kaiowà e Kretã Kaingang, sta cercando importanti opportunità di dialogo per informarli degli impatti che si celano dietro prodotti brasiliani provenienti da aree di conflitto o da terre indigene. In Italia hanno portato le loro testimonianze a Città del Vaticano, Roma, Torino e Bologna, durante eventi pubblici ed incontri con rappresentanti di istituzioni quali il Ministero dell’Agricoltura e il Ministero dell’Ambiente.

In varie occasioni i leader indigeni hanno parlato anche a nome di alcuni “Popoli non contattati”, ovvero Popoli che non sono mai entrati in contatto con la società occidentale. Sono numerosi i Popoli Indigeni “contattati” che fanno da “cuscinetto” tra la società occidentale e i Popoli non contattati, preoccupandosi di monitorare la loro situazione e assicurare la loro sopravvivenza.

Nonostante le diversità culturali che caratterizzano i numerosissimi Popoli Indigeni del Brasile, i problemi che devono affrontare sono gli stessi: spesso le loro terre ancestrali non vengono riconosciute e demarcate. Ma anche nei pochi casi in cui lo sono, gli interessi economici vengono anteposti al rispetto dei loro diritti. Interessi economici legati all’agricoltura industriale, alla costruzione di mega-progetti (grandi strade, dighe idroelettriche…), all’estrazione di legname, metalli e minerali preziosi… tutte attività che hanno un impatto devastante sulla foresta. Anche per questo diciamo che deforestazione e violazione dei diritti umani vanno spesso di pari passo e che i veri guardiani della foresta sono i Popoli Indigeni.

Esigere che i diritti dei Popoli Indigeni vengano rispettati significa stare al fianco di chi protegge le foreste. E proteggere le foreste significa proteggere il clima del Pianeta.

Non mangiarti le foreste!

L’80% della deforestazione del mondo è causata dalla produzione intensiva di materie prime, soprattutto agricole: praticamente, cibo che divora le foreste. Soia, olio di palma, cacao, carne, avocado, sono i responsabili di una distruzione senza precedenti. Stiamo decimando le foreste per far posto all’agricoltura massiva e industriale. Un milione di specie è a rischio di estinzione. Se vogliamo salvare il clima e la biodiversità, dobbiamo salvare le foreste.

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