Negli ultimi giorni la decisione del governo di inserire nella manovra finanziaria una nuova imposta sulla plastica, pari ad 1 euro per ogni chilo di imballaggi, ha aperto un accesso dibattito nell’opinione pubblica e nel mondo politico e industriale.

Riteniamo che tassare la plastica sia sicuramente giusto, e con tale provvedimento il governo finalmente prende atto che questo materiale è problematico per l’ambiente: quindi, il suo uso va disincentivato. La nuova tassazione sarà valida per tutte quelle aziende che da decenni fanno enormi profitti, a scapito dell’ambiente, promuovendo la produzione e l’uso di enormi quantità di imballaggi – non sempre utili – senza assumersi alcuna responsabilità della loro corretta gestione e recupero a fine vita.

Ma la domanda corretta da porsi è: questo provvedimento sarà realmente incisivo dal punto di vista ambientale? Il rischio è che ci si limiti al solo prelievo fiscale: come fare quindi per rendere la Plastic Tax realmente efficace per disincentivare i consumi e favorire le alternative meno problematiche per l’ambiente?

Considerate le cifre in ballo, la tassa non sembra essere in grado di disincentivare i consumi. Prendiamo ad esempio una bottiglia d’acqua, il cui peso può variare tra 9 e 30 grammi a seconda del formato: con un rapido calcolo ci si rende conto che la nuova tassa potrebbe incidere tra 1 e 3 centesimi di euro sul prezzo finale. Una cifra troppo bassa per essere ritenuta un vero deterrente all’acquisto. Se l’obbiettivo è davvero questo ultimo, ovviamente (e correttamente, a nostro avviso) la tassazione dovrebbe essere superiore a 1 euro al chilo, intervenendo in modo ancora più consistente su tutte quelle tipologie di imballaggi che non si riciclano, e che recentemente abbiamo trovato ad esempio abbandonate in Turchia e Polonia.

Tuttavia, il punto non è solo relativo al “disincentivo”, ma riguarda un sistema che non funziona e che deve essere cambiato. Per questo, la tassazione dovrebbe essere accompagnata da una serie di sgravi e incentivi per il ricorso ad alternative a basso impatto ambientale – come lo sfuso o i sistemi basati sulla ricarica e il riutilizzo dei contenitori – per impedire che l’industria ricorra a quelle false soluzioni, come la plastica biodegradabile e compostabile o la carta, non meno problematiche per l’ambiente.

In questo modo, la nuova tassazione spingerebbe verso una vera innovazione tutte quelle aziende che basano il proprio business sugli imballaggi monouso, ricorrendo a tutte quelle alternative che già oggi esistono ma che raramente troviamo disponibili per i nostri acquisti quotidiani. L’inserimento di una modularità, con una tassazione crescente negli anni, potrebbe inoltre spingere velocemente le aziende a investire ancor più rapidamente in sistemi di distribuzione alternativi.

In sintesi, la nuova tassa – per non avere solo un mero scopo fiscale – dovrebbe essere inserita in quadro normativo più organico che preveda una riduzione della produzione degli imballaggi monouso: guarda caso, uno degli obiettivi della direttiva europea sulla plastica usa e getta che andrà in vigore in tutta Europa a metà 2021. Il governo italiano colga quindi la giusta intuizione della Plastic Tax per diventare davvero leader nella lotta all’inquinamento da plastica, favorendo tutte quelle reali alternative che ci consentiranno di superare il modello di business monouso che tanto fa male al nostro Pianeta.

Più mare, meno plastica!

Il mare non è una discarica: chiedi alle aziende di abbandonare l’usa e getta.

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