L’estrazione illegale di oro è una piaga per l’Amazzonia: oltre a devastare la foresta, implica l’utilizzo di grandi quantità di mercurio, un metallo inquinante che finisce per disperdersi nell’ambiente, fiumi inclusi.

Mercoledì scorso dozzine di garimpeiros (cercatori d’oro) hanno fatto irruzione armati nella terra indigena del popolo Wajãpi, nello stato di Amapá, nel nord del Brasile, assassinando il leader indigeno Emyra Waiãpa. Il suo corpo è stato ritrovato in un fiume vicino al villaggio in cui viveva.

La minaccia ha costretto i Wajãpi – che negli anni ’70 del secolo scorso rischiarono di scomparire a causa dalle malattie portate dai cercatori d’oro – a fuggire.  Hanno abbandonato il villaggio di Mariry per spostarsi in uno più grande, quello di Aramirã. Ma nemmeno in questo villaggio si sentono al sicuro: sabato scorso, infatti, sono stati sparati dei colpi di pistola anche in prossimità di Aramirã e i leader indigeni hanno chiesto aiuto alla polizia.

Quello che sta accadendo al Popolo Waiãpa non è un’eccezione. Sono migliaia gli indigeni che rischiano di perdere la vita a causa dell’accaparramento delle terre, persone che rischiano la vita perché i loro territori ancestrali coincidono con aree di foresta che l’agribusiness vorrebbe convertire in monocolture e allevamenti, oppure appetibili perchè ricche di legname pregiato, minerali e metalli preziosi.

L’attuale governo brasiliano sembra sposare questa visione delle foreste come dei fornitissimi discount dai quali prelevare tutto ciò che si desidera senza alcun criterio tranne quello del profitto. Oltre a minimizzare le preoccupazioni ambientali minacciando di abbandonare gli impegni presi con l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, oltre ad indebolire l’ente preposto agli affari indigeni (FUNAI), il presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha promesso in numerose occasioni di aprire a società straniere le aree protette del Paese, per permetterne lo sfruttamento. Sarebbe invece dovere dello Stato brasiliano proteggere i territori indigeni e le loro popolazioni, fermando l’accaparramento delle terre e impedendo che vengano perpetrare attività illegali che mettono in pericolo la foresta amazzonica e le persone che la abitano da sempre.

Secondo l’Istituto brasiliano di ricerche spaziali (INPE), tra il primo gennaio 2019, data dell’entrata in carica di Bolsonaro, e il 24 luglio, sono stati distrutti 4.200 chilometri quadrati di foresta: il 50 per cento in più rispetto ai primi sette mesi del 2018 e oltre il doppio dell’area deforestata nello stesso periodo nel 2017.

Greenpeace Brasile sostiene il Consiglio dei villaggi Wajãpi (Apina) e il Coordinamento delle organizzazioni indigene dell’Amazzonia Brasiliana (Coiab) nelle loro rivendicazioni per il rispetto dei diritti costituzionali e dell’autodeterminazione.

Greenpeace condanna ogni forma di violenza perpetrata nei confronti dei Popoli Indigeni e chiede al governo brasiliano di indagare sulla morte di Emyra Waiãpa, di individuarne i responsabili e di garantire l’integrità fisica e culturale del Popolo Wajãpi e del loro territorio.

 

Non mangiarti le foreste!

L’80% della deforestazione del mondo è causata dalla produzione intensiva di materie prime, soprattutto agricole: praticamente, cibo che divora le foreste. Soia, olio di palma, cacao, carne, avocado, sono i responsabili di una distruzione senza precedenti. Stiamo decimando le foreste per far posto all’agricoltura massiva e industriale. Un milione di specie è a rischio di estinzione. Se vogliamo salvare il clima e la biodiversità, dobbiamo salvare le foreste.

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