È ormai sempre più comune, in Paesi dell’Africa occidentale come il Senegal, la pesca industriale di ingenti quantità di piccoli pesci pelagici usati per produrre farine e oli di pesce che finiscono nei mangimi per gli allevamenti intensivi – prima fra tutte l’acquacoltura.  Come denuncia il nostro recente rapporto “Pesce sprecato”, si tratta tuttavia di una pratica dannosa tanto per i mari al largo delle coste africane, quanto per la sicurezza alimentare e il sostentamento delle popolazioni locali.

La pesca industriale ed eccessiva sta svuotando i mari al largo della costa dell’Africa occidentale, con un impatto devastante non solo a livello ambientale ma anche sociale. Ora però la situazione si aggrava ulteriormente: la produzione di farina e olio di pesce, infatti, causa la perdita di centinaia di migliaia di tonnellate di pesce idoneo all’alimentazione umana (con un impatto potenziale su oltre 40 milioni di consumatori africani) in favore delle esigenze dell’industria mangimistica.

Secondo le più recenti stime FAO, se da un lato la maggior parte degli stock di piccoli pesci pelagici al largo dell’Africa occidentale sono sovrasfruttati, dall’altro emerge – a confermare la gravità del fenomeno – che negli ultimi 25 anni le catture totali sono più che duplicate. Tra il 2014 e il 2018, le esportazioni di farina e olio di pesce in Mauritania sono raddoppiate, rendendo questo Paese il maggior esportatore nella regione, cui segue il Marocco. Sebbene le quantità dell’Africa occidentale siano limitate rispetto alla produzione mondiale di farine e oli di pesci, la rapida espansione della sua produzione nella regione (Greenpeace ha documentato la presenza di oltre 40 impianti in attività) desta particolari preoccupazioni per gli impatti socioeconomici e ambientali.

Dalla nostra ricerca emerge che l’Europa, insieme all’Asia, è tra i principali importatori di questi prodotti, e in particolar modo proprio l’Italia risulta essere il maggiore paese europeo a importare farina e olio di pesce dal Senegal. Ma dove vanno a finire?

Dobbiamo chiederci dunque: da dove arriva il pesce che portiamo sulle nostre tavole? A quali costi sociali e ambientali viene allevato?

Per troppo tempo alcune filiere sono rimaste nell’ombra, prive della necessaria trasparenza che consenta ai consumatori, ormai sempre più attenti all’impatto di ciò che mettono nel piatto, di poter fare scelte consapevoli e realmente sostenibili.

Gli Stati costieri, secondo quanto deciso dagli accordi internazionali, dovrebbero impegnarsi a cooperare per garantire un uso sostenibile delle risorse comuni. Noi chiediamo ai governi dell’Africa occidentale di fermare immediatamente la produzione di farine e oli di pesce per garantire un utilizzo equo e sostenibile delle risorse, che privilegi le economie e la sicurezza alimentare delle popolazioni locali.

 

 

Proteggi gli Oceani

Cambiamenti climatici, pesca eccessiva, estrazioni minerarie, trivellazioni, plastica: i nostri oceani subiscono di tutto per colpa dell’avidità umana. Spesso sono proprio le zone d’Alto Mare, al di fuori della giurisdizione degli Stati costieri, a diventare prede degli interessi di pochi Stati ricchi e potenti o di aziende spregiudicate. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore? Non possiamo accettarlo: per difendere il fragile e meraviglioso ecosistema marino, serve creare una rete di Santuari d’Alto mare su scala planetaria.

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