Ci troviamo ormai nel bel mezzo di un’emergenza climatica, di una crisi che sempre più ci impone misure drastiche e perentorie. Che però tardano a materializzarsi. Da una parte infatti ci sono i giovani, da qualunque parte del mondo essi provengano, che si riuniscono per organizzare scioperi, proteste e manifestazioni in favore del clima e che chiedono a gran voce un futuro libero dalle emissioni. Dall’altra, invece, ci sono ancora i grandi colossi del settore energetico, che tentano di portare avanti attività nocive per il clima e l’ambiente.

La società petrolifera BP, nonostante affermi di voler rispettare lo spirito degli accordi di Parigi, continua a promuovere l’estrazione di petrolio, che è tra le principali cause del cambiamento climatico. Circa due settimane fa, infatti, una piattaforma noleggiata da Transocean a BP (è la stessa “coppia” del disastro della Deepwater Ocean nel Golfo del Messico!) era sul punto di trivellare nuovi pozzi al largo delle coste scozzesi, per ricavarne 30 milioni di barili di petrolio. L’intervento degli attivisti di Greenpeace non si è fatto attendere.

Durante la notte dello scorso 9 giugno, un team di attivisti di Greenpeace si è arrampicato sulla piattaforma “Paul B Loyd Junior”, impedendole così di lasciare la baia di Cromarty Firth. L’azione, nonostante le difficili circostanze – tra cui diversi arresti e pesanti minacce legali – è durata ben 12 giorni (più di 250 ore!), alla fine dei quali però gli attivisti sono riusciti a rallentare la marcia di quell’avido mostro di 27.000 tonnellate.

Ma vediamo nel dettaglio cosa è successo.

Giorno 1: Una squadra di attivisti di Greenpeace è intervenuta per evitare che la piattaforma prendesse il largo. Due scalatori, infatti, si sono prima arrampicati sulla gru, dando inizio ad un’occupazione che è durata diversi giorni, e hanno poi appeso alla stazione estrattiva un banner con scritto “emergenza climatica”, per denunciare gli effetti che le trivellazioni hanno sui cambiamenti climatici.

Giorno 5: L’azione viene bloccata e gli scalatori sono costretti a scendere dalla piattaforma ma, nel giro di poche ore, un nuovo team di attivisti sale a bordo per proseguire con l’occupazione.

Giorno 6: Anche il secondo gruppo di attivisti viene fermato e, in quelle stesse ore, il tribunale inoltra un ordine all’ufficio di Greenpeace UK che impone di porre fine all’occupazione, pena il pagamento di una multa salata. La piattaforma petrolifera lascia il porto e si dirige verso il luogo della trivellazione.

Giorno 8: La nave di Greenpeace “Arctic Sunrise”, che solo due settimane prima si trovava a Bilbao, fa capolino sulla scena e insegue la piattaforma di BP nel suo viaggio verso nord, fino al sito della perforazione. La nostra nave arriva prima, si posiziona sul sito e così la piattaforma si vede costretta a fare marcia indietro.

Giorni 9-11: La piattaforma si dirige verso la costa, con l’Arctic Sunrise alle calcagna che la costringe a continui cambi di direzione. Arriva un’altra ingiunzione contro la nave di Greenpeace.

Giorno 12: L’Arctic Sunrise torna a casa e così anche tutte le persone e gli attivisti coinvolti in questa azione coraggiosa: l’epico viaggio di Greenpeace nel Mare del Nord è giunto al termine.

Nonostante la protesta non sia riuscita a bloccare definitivamente le trivellazioni, è stata comunque in grado di farci guadagnare un vantaggio di 12 giorni, che non sono passati invano: l’emergenza climatica è sulla bocca di tutti in Inghilterra e in Scozia e i potenti sono ovviamente innervositi: un sottosegretario che ha preso per il collo una attivista di Greenpeace (che protestava proprio in difesa del clima) è stato sospeso.

Greenpeace UK ha inoltre consegnato alle sedi centrali di BP – a Londra e ad Aberdeen – due “climate injunctions”, che imitano sarcasticamente le ordinanze del tribunale, e che incalzano l’azienda affinché ponga fine alle trivellazioni per dedicarsi finalmente al passaggio dai combustibili fossili alle fonti di energia rinnovabili.

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