A Fregene negli ultimi 5 anni si sarebbero perse decine di metri di spiaggia. I cambiamenti climatici e l’erosione costiera rischiano di mettere in ginocchio enormi tratti di costa del nostro Paese.

Alcuni tra voi, leggendo i giornali o navigando su internet, recentemente avranno avuto modo di imbattersi in uno strano acronimo: PNIEC. Una sigla che forse su due piedi non vi dirà molto, ma che in realtà si riferisce a un qualcosa di fondamentale per tutti noi. Sì, perché il PNIEC è il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, un documento di oltre 200 pagine in cui sostanzialmente si decide il nostro futuro.

Abbiamo meno di 12 anni per salvare il clima, dice l’IPCC – il braccio scientifico dell’ONU che si occupa di studiare i cambiamenti climatici – in un report pubblicato pochi mesi fa. Ben 10 di questi 12 anni sono all’interno di questo Piano, che traccia le politiche nazionali su clima e energia del decennio 2020-2030.

Il solito documento tecnico, noioso e incomprensibile ai più, potrà pensare qualcuno. Sono ben altre le cose di cui preoccuparsi pensando al futuro, potrebbe pensare qualcun altro. E invece non è così, questo piano interessa tutti noi da vicino e per molte buone ragioni:

  • I cambiamenti climatici sono ormai una drammatica realtà, anche in Italia. Vi ricordate quanto successo solo pochi mesi fa, con milioni di alberi distrutti dalla furia del vento a Belluno, città allagate in Sicilia, litorali distrutti e yacht catapultati in strada in Liguria? Avete mai notato quanto si parli sempre più spesso di siccità nel sud e centro Italia, con conseguenti ingenti danni all’agricoltura? Bene, non si tratta di maltempo, stiamo bensì parlando di cambiamenti climatici. I danni a case, automobili, boschi, e purtroppo anche le vittime delle tragedie citate in precedenza (oltre trenta morti nel nostro Paese nel solo ottobre 2018), sono conseguenze dei clima che cambia, non di maltempo;
  •  Il Piano traccia la politica energetica del nostro Paese, ovvero investimenti, posti di lavoro, qualità dell’aria, un’eventuale riqualificazione del settore industriale italiano;
  •  Nel Piano si affronta il tema della mobilità, che incide in maniera decisiva sulla vita quotidiana di tantissimi tra noi.

L’ultimo documento programmatico di questo tipo risale a non molto tempo fa, parliamo del 2017, ed è la Strategia Energetica Nazionale (SEN) approvata dall’allora ministro Carlo Calenda. I partiti oggi al governo, M5S su tutti, si scagliarono contro la politica dell’allora titolare del MISE, definendola “vecchia e in contraddizione con gli accordi internazionali sul clima”.

Dall’attuale esecutivo, a cui spetta il compito di redigere il PNIEC, ci saremmo dunque attesi un documento ambizioso, che mettesse finalmente le rinnovabili al centro, con particolare attenzione per l’energia autoprodotta dai cittadini e dalle comunità. Un piano che relegasse i combustibili fossili al ruolo che gli spetta, e cioè di mero e marginale accompagnamento alla transizione energetica.

E invece così non è: il PNIEC e la SEN di Calenda si assomigliano, per certi versi addirittura si sovrappongono plasticamente.

Il gas naturale, che ci viene venduto come energia pulita – e che invece pulito non è affatto, come testimonia anche un recente report pubblicato da Transport & Environment – è il grande protagonista di queste 237 pagine. Per le rinnovabili pochissimo spazio, e in particolare per quelle elettriche non è previsto quasi nulla per i prossimi 4-5 anni.

Altra grande protagonista è l’efficienza energetica, che si ipotizza possa far drasticamente diminuire i consumi di energia, portando però con sé un grosso rischio: se, come alcuni esperti sostengono, non ci sarà l’atteso abbattimento dei consumi, il risultato sarà che ci sarà bisogno di più energia di quanto previsto. E da dove verrà questa energia? Certamente non dal carbone – che fortunatamente si conferma verrà abbandonato entro il 2025 – ma neppure dalle rinnovabili, per le quali non è prevista in pratica nessuna crescita negli anni a venire.

Rimarrebbe dunque un’ultima opzione, il gas, il cui ruolo aumenterebbe ulteriormente di importanza. Con grande gioia da parte di Eni, padrona assoluta del gas naturale sul suolo nazionale (e non solo). E con buona pace di tutti quei cittadini che subiscono gli inutili e folli investimenti in infrastrutture di cui potremmo fare a meno, come ad esempio il TAP.

E poi ci sono gli obiettivi climatici, che sono sì in linea con quelli dell’Unione europea, ma assolutamente non parametrati rispetto a quanto richiesto dalla scienza per rispettare gli Accordi di Parigi, ratificati anche dall’Italia. Obiettivi Ue che peraltro verranno presto rivisti proprio sulla base delle nuove evidenze scientifiche. Con l’Italia che rischierà di trovarsi di nuovo con una politica energetica non innovativa e “vecchia prima ancora di iniziare”, giusto per usare la stessa espressione con la quale alcuni parlamentari del Movimento 5 Stelle avevano correttamente commentato la SEN di Calenda.

Di seguito riportiamo una tabella che mette a confronto il PNIEC e la SEN, dimostrando quanto questi due piani sinistramente si assomiglino.

SEN PNIEC
Domanda energia primaria 2030 135,9 Mtep (Megatep – Milioni Tonnellate Equivalenti Petrolio) 132 Mtep (Megatep – Milioni Tonnellate Equivalenti Petrolio)
Emissioni CO2eq 2030 332 MtCO2eq (Megatonnellate di CO2 equivalente) 328 MtCO2eq (Megatonnellate di CO2 equivalente)
Percentuale energia da fonti rinnovabili al 2030 28% 30%
Produzione elettricità da fonti rinnovabili al 2030 55% (184 TWh) 55,4% (187 TWh)
Gas naturale al 2030 50 Mtep 49 Mtep
Percentuale di rinnovabili nel settore dei trasporti 21% 21,6%

Il primo elemento che salta all’occhio sta nella quota di rinnovabili elettriche che dal 55% della SEN passa al 55,4% del PNIEC: un aumento insignificante. In sostanza, non si darà più spazio alle rinnovabili elettriche al 2030 di quanto non fosse già contenuto nella SEN.

Rimane invece centralissimo il ruolo del gas naturale, che al 2030 è di 49 Mtep nel PNIEC, a fronte dei 50 Mtep previsti dalla SEN 2017. E c’è da aggiungere che, poiché il raggiungimento degli obiettivi per l’efficienza e delle rinnovabili termiche non è affatto certo, il ruolo del gas potrebbe essere maggiore di quello dichiarato.

Dunque rinnovabili al palo e gas galoppante, in perfetta continuità con i precedenti governi.

E non va certo meglio nel settore dei trasporti, dove la quota di rinnovabili rimane la stessa in percentuale (21% circa) ma stupisce che vi contribuiscano 4,4 milioni di auto ibride e soltanto 1,6 milioni di auto totalmente elettriche (27% del totale), quando a livelli complessivi di quest’ordine di grandezza le proiezioni nazionali e internazionali prevedono sistematicamente una percentuale di vetture elettriche superiore al 50%.

Ed infine, manca completamente uno scenario al 2050, data in cui l’Europa – e dunque anche l’Italia – dovrebbe essere a emissioni nette zero. Ed è evidente che manchi perché, con questi numeri, è difficile ipotizzare in tale data un’Italia finalmente libera dai combustibili fossili.

Molto ancora ci sarebbe da dire su queste centinaia di pagine, ma le abbiamo analizzate con attenzione e il risultato non cambia: l’Italia, al momento, continua a non impegnarsi adeguatamente per contrastare con serietà i cambiamenti climatici. I piani di questo governo non sono in linea con le indicazioni della scienza. Il gas, che dovrebbe essere il combustibile che accompagna la transizione rapida verso un mondo 100% rinnovabile, si candida invece ad essere la fonte di energia inquinante che ci condurrà oltre l’orlo del baratro.

Con buona pace di governi che si susseguono, cambiano colore, sempre però tenendo ben presenti gli interessi di Eni e della lobby fossile.