È stato approvato ieri, in Commissione unificata Affari costituzionali e Lavori pubblici al Senato, l’emendamento (riformulato) al decreto semplificazioni. Primo firmatario, il Senatore  Castaldi, del M5S: in attesa della definitiva approvazione (il decreto deve essere approvato alla Camera prima della metà di febbraio), possiamo di certo dire che la sospensione di 18 mesi, seppur positiva, è solo una specie di time-out, e per giunta parziale, giusto il tempo di tirare un mezzo sospiro di sollievo. Cosa accadrà infatti dopo i fatidici 18 mesi di sospensione accordata? E quante sono invece le procedure di autorizzazione allo sfruttamento di giacimenti (coltivazione) che invece non sono sospese? Il percorso per rendere l’Italia libera dalle trivelle ha bisogno di interventi più incisivi per superare le norme pro-fossili ereditate dalle passate legislatura!

Se è vero che sono apprezzabili tanto la definizione di un Piano per la transizione energetica quanto l’aumento dei canoni annuali delle concessioni di coltivazione e per le istanze di prospezione e ricerca, dal Governo ci saremmo aspettati dei segnali più chiari per mettere una pietra tombale sullo scempio delle trivelle. È questione rilevante per la tutela dei territori sconvolti dalle attività estrattive, dei nostri mari purtroppo già in crisi per mille motivi (dalla plastica alla pesca eccessiva…) e per la tutela delle altre attività produttive (dall’agricoltura alla pesca) che in questo Paese evidentemente, rispetto alla lobby petrolifera, contano meno del due a briscola. Ma la questione è ancora più rilevante se si considera la minaccia della catastrofe climatica cui andremo incontro se non la smettiamo di estrarre e bruciare idrocarburi: carbone, gas e petrolio devono restare – per il bene di tutti – li dove sono adesso, sotto terra.

Assieme al WWF e a Legambiente, abbiamo sintetizzato – in poche righe – quello che ci serve, evidenziando che a questa normativa mancano una serie di provvedimenti strutturali che consentirebbero di lasciarci alle spalle le piattaforme una volta per tutte.

Al netto di una scelta decisa di decarbonizzazione della nostra società (una scelta che ha bisogno di un contributo forte del nostro Paese nel contesto di una forte leadership dell’Unione Europea) c’è bisogno:

  •  di superare i meccanismi automatici di autorizzazione unica per le attività di ricerca e coltivazione (in pratica: se sei autorizzato a fare ricerche esplorative, sei autorizzato poi anche a trivellare, pure se non è stata fatta una valutazione preliminare degli impatti ambientali e sociali);
  •  di cancellare i cosiddetti “progetti sperimentali” per le trivellazioni nel Golfo di Venezia: un’area a fortissimo rischio subsidenza in cui gli scenari climatici prevedono il peggior impatto per l’innalzamento dei mari (da uno studio scientifico, il delta del Po è il secondo delta più a rischio nel Pianeta);
  •  di introdurre valutazioni sul pericolo di incidente rilevante: se pensate che in Italia si valutino scenari terrificanti come l’esplosione della Deepwater Horizon, vi sbagliate…per legge, non ce n’è bisogno e il caso peggiore preso in considerazione può essere lo sversamento in mare di poche decina di tonnellate di idrocarburi;
  • di vietare l’uso degli airgun e, semmai (in attesa di una decisione chiara che finalmente vieti ogni nuova attività estrattiva) di verificare l’esistenza di metodi alternativi per la ricerca geosismica ai fini delle trivellazioni;
  • di eliminare la franchigia, cioè il meccanismo di esenzione dal pagamento delle royalties al di sotto di una soglia produttiva, che tra l’altro permette ai petrolieri di aggirare l’obbligo di smantellamento e bonifica di impianti sostanzialmente inattivi.

È questo – assieme a royalties ridicole e a sussidi record alle fossili – che ha fatto dell’Italia un vero paradiso per le aziende petrolifere. Ora, anche basta: vedremo se in 18 mesi saremo capaci di andare avanti con un deciso SI a energie rinnovabili e efficienza energetica!