Il greenwashing è uno dei fenomeni più subdoli e pericolosi del nostro tempo. È quella “pennellata di verde” che permette alle aziende inquinanti di fingersi green e nascondere il proprio impatto ambientale. Per imparare a riconoscerlo ed evitarlo, abbiamo chiesto dei consigli alle esperte e agli esperti di “Voci per il clima: una rete indipendente di più di 100 personalità con diverse competenze impegnate in prima linea contro il greenwashing e la disinformazione sul clima.

La comunicatrice ambientale Elisa Nicoli, in arte @eco.narratrice, ci guida nel mondo del greenwashing delle aziende di moda.

Ciao Elisa, grazie per la tua disponibilità. Ci spieghi cos’è e come funziona il greenwashing nel settore della moda?

Un’azienda di moda fa greenwashing quando spaccia un capo come sostenibile, quando di sostenibile ha solo pochi o nessun elemento. Cioè anche quando non è il capo ad essere sostenibile, ma solo una sua parte. La sostenibilità comprende tantissimi aspetti: non riguarda soltanto i materiali utilizzati ma l’intera filiera di produzione, compresi gli impatti sociali, cioè relativi alle condizioni di lavoro delle persone che producono quei vestiti. Spesso le grandi multinazionali del fast fashion dicono che un capo è sostenibile perché realizzato in cotone riciclato o in cotone organico, ma senza indicare dove il cotone è stato coltivato, a quali condizioni e con quali controlli; oppure perché contiene una piccola percentuale di plastica recuperata dai mari, anche quando la maggior parte del prodotto contiene plastica vergine. Naturalmente iniziare a usare materiali più sostenibili è una cosa positiva, ma spacciare il prodotto come 100% sostenibile solo per questo è greenwashing.

Come riconoscere un’azienda o un prodotto che fa greenwashing?

Io ho due strategie. La prima, più semplice, consiste nel guardare quali altre linee di abbigliamento produce un brand. Se ha soltanto una linea con cotone organico, ad esempio, e tutte le altre no, allora è molto probabile che l’azienda non sia interamente sostenibile. L’altra strategia, più incisiva, è basata sulla trasparenza. È utile verificare quanto è trasparente l’azienda su tutto il processo produttivo. Possiamo farlo sul sito dell’azienda (nella pagina dedicata alla sostenibilità, alla trasparenza o in alcuni casi addirittura in homepage). Se un’azienda non fa solo greenwashing, qui dovremmo trovare tutte le informazioni relative alla produzione: come è stato prodotto un capo, con quali materie prime, a quali condizioni di lavoro, ecc. Più informazioni troviamo e più possiamo fidarci.

Come possiamo evitarlo e acquistare capi di abbigliamento davvero sostenibili?

Il mio consiglio è di evitare innanzitutto le grandi multinazionali del fast fashion, che hanno ben poco di sostenibile. È molto importante anche evitare di fare acquisti compulsivi, in un’ottica di “ecominimalismo”: acquistare meno, solo quello che ci serve e magari evitando di comprare capi nuovi. Scegliere l’usato ci permette di evitare completamente il problema del greenwashing. In alternativa, se l’usato non è disponibile, consiglio di acquistare nuovi capi da aziende di slow fashion: piccole o medie aziende artigianali che nascono con l’intento di essere sostenibili, rispettare l’ambiente e i diritti dei lavoratori. Queste aziende hanno obiettivi di sostenibilità verificabili e informazioni trasparenti relative all’intera produzione sui loro siti o in etichetta. 

Vuoi saperne di più sul greenwashing ed entrare in contatto con gli esperti e le esperte di “Voci per clima”?