Ogni anno miliardi di animali migrano attraversando vaste aree di terra, aria o mare per trovare zone dove la probabilità di sopravvivenza risulta maggiore. Le migrazioni sono un fenomeno complesso che coinvolge differenti specie che si spostano, a volte per migliaia di chilometri, attraverso habitat variegati utilizzati per nutrirsi, riprodursi e riposare, tale processo a sua volta contribuisce al mantenimento di ecosistemi sani e funzionali.

Il comportamento migratorio è presente in tutti i principali gruppi animali, tra cui mammiferi, uccelli, rettili, anfibi, pesci e insetti. A seconda delle specie e delle esigenze ecologiche, alcuni animali migrano secondo uno schema regolare e prevedibile, mentre altri possono spostarsi in modo irregolare e in tempi più lunghi. Le tartarughe marine, ad esempio, intraprendono lunghe migrazioni solitarie, mentre altre specie migrano collettivamente in gran numero.

Panoramica delle specie elencate nella Convenzione sulla conservazione delle specie migratrici (CMS) per gruppo tassonomico: uccelli, mammiferi terrestri, mammiferi acquatici, pesci, rettili e insetti

La migrazione

Gli animali migratori spesso attraversano i confini nazionali, e per la loro tutela è quindi necessaria una cooperazione tra Stati essenziale per la conservazione di habitat e specie che non conoscono barriere di alcun genere se non quelle dettate dai parametri ambientali. 

La Convenzione sulla conservazione delle specie migratrici appartenenti alla fauna selvatica (nota anche come CMS o convenzione di Bonn), entrata in vigore nel 1979, pone infatti le basi giuridiche per misure coordinate di conservazione a livello internazionale stabilendo gli obblighi per ogni Stato che aderisce alla Convenzione ed elenca le specie migratrici minacciate di estinzione in una lista (Appendice I), mentre quelle che necessitano o che trarrebbero significativi benefici dalla cooperazione internazionale sono elencate in un’altra lista (Appendice II). 

Un branco di elefanti corre nella savana
Elefanti nella savana del Masai Mara, in Kenya

Il primo report sulla conservazione delle specie migratrici

Il primo report sulle specie migratrici è stato pubblicato a febbraio 2024, dopo molti anni dall’entrata in vigore della Convenzione e i dati riportati non sono dei migliori. Purtroppo è emerso che lo stato di conservazione di molte specie presenti in entrambe le liste è peggiorato e che gli sforzi fino ad oggi effettuati non bastano, mentre in parallelo le minacce antropiche aumentano in numero e intensità. Una specie su cinque di quelle elencate nelle appendici è a rischio di estinzione, mentre il 44% mostra un trend di popolazione in declino, il gruppo di animali più colpito è quello dei pesci, il 97% delle specie di pesci nelle liste risulta essere ad oggi a rischio di estinzione, gli animali più colpiti sono gli squali, le mante e gli storioni. 

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Uno squalo seta e altre forme di vita marina si aggirano intorno a un dispositivo di aggregazione dei pesci (FAD)
Uno squalo seta e altra fauna marina nell’Oceano Pacifico

Le minacce per le specie migratrici

Il report individua anche le differenti pressioni antropiche a cui sono sottoposte le specie migratrici, avvalendosi e modificando in parte la classificazione delle minacce della IUCN (International Union Conservation Nature), ad oggi considerata a livello mondiale la fonte di informazioni più completa riguardo lo stato di conservazione delle specie.

Il quadro che emerge non è confortante, la perdita, il degrado e la frammentazione dell’habitat rappresentano le principali minacce per la biodiversità coinvolgendo ben 481 su 641 delle specie riportate nelle appendici (75%), mentre il sovrasfruttamento affligge 446 specie presenti nelle liste (70%). A seguire, si aggiungono ulteriori impatti antropici, come l’inquinamento, il cambiamento climatico, le specie invasive e le malattie. A tal riguardo, l’influenza aviaria che ha colpito circa due anni fa gli uccelli marini delle coste della Scozia, oggi si è diffusa in tutti i continenti, tranne l’Oceania, uccidendo una notevole varietà di animali tra mammiferi e uccelli, arrivando fino all’isola sub-antartica della Georgia del sud, dove ha colpito anche i pinguini presenti nell’area. 

La perdita, il degrado e la frammentazione degli habitat e il sovrasfruttamento sono le principali minacce che colpiscono le specie elencate nella Convenzione sulla conservazione delle specie migratrici.

Il Deep Sea Mining e il rischio che corrono i cetacei

Ulteriori minacce, come se non bastasse, potrebbero arrivare anche in futuro. Infatti, poco prima che il report fosse pubblicato, il segretariato della commissione della Convenzione sulle specie migratrici ha inviato un documento al segretariato dell’ISA (International Seabed Authority), in cui vengono descritti i potenziali effetti negativi del Deep Sea Mining (DSM) sui cetacei (per lo più migratori) e il loro habitat, sottolineando l’importanza di una moratoria riguardo questa nuova forma di sfruttamento dei giacimenti di minerali nelle profondità marine su cui Greenpeace sta lavorando ormai da diversi anni.  La risposta un po’ seccata da parte del segretariato dell’ISA non si è fatta attendere, evidenziando, a detta loro, le ipotesi errate proposte e la mancanza di basi scientifiche sostanziali. Ciò dimostra come il tema sia molto caldo e in più sottolinea quanto sia importante bloccare sul nascere nuove minacce prima che possano aggiungersi a quelle che purtroppo già conosciamo.

Una megattera al largo della Grande barriera corallina meridionale durante la sua migrazione verso sud
Megattera a largo della Grande Barriera Corallina, in Australia

La necessità di proteggere le specie migratrici e il loro habitat: cosa propone Greenpeace

Da questo quadro emerge che la protezione delle specie migratrici è un fattore indispensabile per evitare la perdita di biodiversità, ma essa non può avvenire se non si prendono in considerazione i diversi habitat che gli animali attraversano durante il loro cammino, identificare questi siti è un passo fondamentale per la conservazione delle specie.

Ad esempio il programma per le aree chiave di biodiversità (Key Biodiversity Areas) ha identificato 10.000 siti di importanza per le specie elencate nella Convenzione, ma attualmente più della metà dei siti chiave individuati non è protetto. Greenpeace ad esempio ha sempre denunciato la necessità di proteggere gli ecosistemi attraverso l’istituzione di aree protette e sottolinea l’importanza di ratificare il Trattato sugli Oceani delle Nazioni Unite per proteggere almeno il 30% dei nostri mari entro il 2030.

Pellicani in volo a pelo d'acqua su un lago nella savana, in Tanzania
Pellicani nella Rift Valley, Lago Natron, Tanzania

Dal report emerge infine  un dato importante, le popolazioni di megattere (Megaptera novaeangliae) pesantemente cacciate per il loro grasso e i loro fanoni tra il 1700 e il 1900, sono in ripresa rispetto agli anni passati. La specie era stata inserita nel 1986 nella lista rossa della IUCN come in pericolo globale, ma oggi dopo la moratoria dell’IWC (International Whaling Commission) sulla caccia baleniera commerciale, è considerata in pericolo minimo con una popolazione stimata di 80.000 individui maturi. Ciò a riprova del fatto che solo attraverso la cooperazione internazionale e l’implementazione di misure di conservazione è possibile tutelare la biodiversità.

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