Il 5 febbraio scorso l’Assemblea di Lega della Serie A di calcio ha dato un annuncio a suo modo storico per lo sport più seguito in Italia. Dopo 25 anni di partnership con TIM, il consesso che riunisce tutte le squadre che partecipano al massimo campionato calcistico nazionale ha reso noto di aver raggiunto un accordo con ENI in cui si prevede che Enilive (società della galassia del colosso dell’oil&gas) sarà title sponsor della Serie A per i prossimi tre anni (con opzione di rinnovo anche per un altro biennio).

Secondo quanto riportato dall’agenzia ANSA, l’accordo tra ENI e la Lega comporterà un esborso da parte dell’azienda petrolifera di circa 22 milioni di euro all’anno (circa il 17% in più rispetto all’ultimo accordo con TIM). Dunque, in caso la sponsorizzazione dovesse durare per cinque anni, la compagnia dell’oil&gas verserà alla competizione calcistica 110 milioni di euro. 

L’annuncio della Lega di Serie A è arrivato proprio alla vigilia del Festival di Sanremo, anch’esso sponsorizzato da una società dell’impero di ENI, ovvero Plenitude. E se già questa matrioska di partnership di prestigio non fosse sufficiente, basta aggiungere il recente accordo, valido fino al 2026, tra il Cane a sei zampe e la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) per la sponsorizzazione delle nazionali di calcio italiane – inclusa la squadra maschile che scenderà in campo in Germania a giugno per gli Europei – per vedere emergere con chiarezza l’aggressiva tattica di greenwashing (o ancora meglio sportwashing nel caso dell’uso strumentale delle sponsorizzazioni nel calcio) che ENI sta mettendo in atto per distogliere l’attenzione dalle sue gravi responsabilità per la crisi climatica.

Se dunque da un lato ENI cerca di conservare la sua “licenza sociale” a inquinare grazie a costose sponsorizzazioni, dall’altro prova a zittire con minacce di denunce e censure chi, come ReCommon e Greenpeace Italia, prova a chiedere conto dell’impatto che le attività di sfruttamento di gas e petrolio dell’azienda hanno sul clima del pianeta. 

La protesta degli attivisti di Greenpeace di fronte al quartier generale dell’Eni a Roma,  11 maggio 2021. ANSA/ GREENPEACE

Lo sport, la musica, la cultura, il mondo dell’istruzione e dell’informazione dovrebbero essere liberi dalla propaganda tossica dell’industria fossile, così come già da tempo è avvenuto con le pubblicità e le sponsorizzazioni dell’industria del tabacco. È tempo inoltre che ENI sia ritenuta responsabile per il contributo che ha dato (e continua a dare) alla crisi climatica in corso, e decarbonizzi il suo business nei fatti, e non solo a parole come fa nei suoi spot. Per questo, lo scorso 9 maggio, insieme a ReCommon e dodici cittadine e cittadini italiani, abbiamo lanciato La Giusta Causa, il primo contenzioso climatico mai avviato in Italia contro un soggetto di diritto privato. 

Con La Giusta Causa chiediamo al Tribunale di Roma di obbligare ENI a rivedere la sua strategia industriale per ridurre le emissioni di almeno il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, come indicato dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5°C e rispettare l’Accordo di Parigi sul clima. Vogliamo inoltre che il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Cassa Depositi e Prestiti adottino una politica climatica che allinei la loro rispettiva partecipazione nella società all’Accordo di Parigi. Per tutti gli aggiornamenti sul processo, segui #LaGiustaCausa sui nostri canali social.

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