Lo scorso novembre Greenpeace Italia e ReCommon, con un approfondito report, hanno denunciato come stia crescendo l’influenza di ENI in ambito scolastico e accademico. L’azienda cerca infatti legittimazione sociale nel mondo dell’istruzione e della ricerca attraverso la formazione di docenti e studenti, tirocini curriculari, accordi con gli istituti universitari, career day, finanziamento e acquisto di ricerche e brevetti, partenariati nell’organizzazione di master e corsi di laurea.

Il sottofinanziamento pubblico alle università, un’arma nelle mani di ENI e delle società private

Negli ultimi anni in Italia il mondo della formazione ha conosciuto un forte sottofinanziamento. In particolare, per quanto riguarda il comparto universitario i fondi non sono sufficienti a garantire i servizi necessari, la fruizione di una didattica di qualità, la manutenzione degli spazi e delle strutture, la possibilità di coprire le borse di studio a chi sarebbe idoneo a ottenerle e i finanziamenti alla ricerca.

Il 30% del fondo di finanziamento ordinario oggi viene assegnato tramite quote premiali, costringendo le università ad adottare un approccio competitivo anziché cooperativo. Questo sistema, al contrario, ha costretto le università italiane a rivolgersi alle aziende private per assicurarsi fondi aggiuntivi rispetto al finanziamento pubblico. ENI ha così trovato un terreno fertile per entrare nel mondo accademico e poterne condizionare le scelte sia nella didattica, sia nella ricerca. 

Che cosa succede quando sono i privati a decidere la linea su didattica e ricerca?

Semplice: le università, da luogo di formazione e sviluppo di un sapere critico, diventano bacino di reclutamento per grandi imprese, non di crescita culturale degli studenti, e strumento di greenwashing. L’indipendenza della ricerca e dell’insegnamento sono invece cruciali se si vogliono costruire menti pensanti con spirito critico e raggiungere obiettivi di ricerca indipendenti dall’interesse economico di soggetti privati.

Se le aziende responsabili di crimini ambientali contro le persone e l’ambiente finanziano la ricerca, la complicità tra il mondo accademico e queste stesse aziende diventa inaccettabile. Per contrastare le attività distruttive dell’industria fossile è necessario liberare gli spazi culturali dall’influenza di questi colossi. ENI si presenta come promotrice di una transizione equa, ma le sue emissioni contribuiscono a costi sociali ed economici insostenibili. Il suo coinvolgimento nelle università mira ad accaparrarsi risorse e preservare la sua licenza sociale, nonostante il suo enorme impatto ambientale.

Ma è solo il sottofinanziamento a portare l’industria fossile nelle università?

Ormai l’influenza del mondo fossile è presente nella quotidianità della ricerca universitaria: se da un lato il sottofinanziamento subito da ricercatori e dottorandi è l’entry point grazie a cui ENI ha messo piede nelle università, dall’altro ci sono i docenti che ormai vedono le collaborazioni con aziende un motivo di vanto e prestigio. È prassi consolidata di una parte del corpo docente ordinario andare oltre il “semplice” finanziamento di una ricerca e prestare attività di consulenza per soggetti privati. Docenti, quindi dipendenti pubblici, che prendono compensi personali per attività extra curriculari

Una pratica, questa delle attività extra curricolari, sul filo della norma tanto che proprio nell’ambito della causa climatica promossa da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadini italiani, ENI ha deciso di chiedere una consulenza a un professore ordinario del Politecnico di Milano, Stefano Consonni, le cui consulenze passate sono finite sotto i riflettori della Corte dei Conti perché hanno “travalicato la natura consulenziale” per diventare una “vera e propria attività professionale”. 

È arrivato il momento di ridare lustro, indipendenza alle nostre università e ai percorsi di ricerca, ponendosi seriamente la domanda su quanto sia eticamente corretto dare spazio a colossi del gas e del petrolio come ENI che mettono a rischio la nostra vita e quella delle future generazioni, alterando il clima e l’abitabilità del pianeta che ci ospita. 

Aiutaci a fermare i crimini di ENI