Attivisti di Greenpeace al Parlamento norvegese dopo l'approvazione delle attività estrattive minerarie nelle acque dell'Artico.
Attivisti di Greenpeace riuniti davanti al Parlamento norvegese per protestare contro l’approvazione delle estrazioni minerarie nei fondali dell’Artico.

Il 9 gennaio attivisti internazionali e organizzazioni ambientaliste si sono riuniti fuori dal Parlamento norvegese per protestare contro l’approvazione delle attività estrattive minerarie nelle acque profonde dell’Artico (il cosiddetto Deep Sea Mining). Mentre crescono le critiche di scienziati, organizzazioni di pescatori e della comunità internazionale, la Norvegia ha votato sì aprendo di fatto a un’industria molto controversa.

La proposta del governo è quella di aprire all’estrazione mineraria un’area grande quasi quanto l’Italia. La zona si trova nell’Artico, tra le Svalbard, la Groenlandia, l’Islanda e l’isola di Jan Mayen, uno degli ultimi luoghi incontaminati per la vita marina artica.

È devastante vedere lo Stato norvegese mettere a rischio gli straordinari ecosistemi marini. Quest’area è uno degli ultimi rifugi sicuri per la vita marina artica. Faremo tutto il possibile per fermare questa industria distruttiva prima che inizi“, ha dichiarato Amanda Louise Helle, attivista di Greenpeace. 

Le prime licenze di estrazione dovranno tuttavia essere approvate dal Parlamento norvegese: questo significa che la battaglia per fermare l’estrazione in acque profonde non è ancora finita.

Perché dobbiamo fermare le estrazioni minerarie in alto mare

Attivisti e organizzazioni ambientaliste protestano contro l'approvazione delle estrazioni minerarie nelle acque dell'Artico.
Attivisti internazionali e organizzazioni ambientaliste davanti al Parlamento norvegese protestano contro l’approvazione delle attività estrattive nelle acque profonde dell’Artico.

Il Deep Sea Mining devasta i fondali marini alla ricerca di minerali e metalli, distruggendo ecosistemi vulnerabili, pressoché ignoti e incontaminati. Gli scienziati da tempo ci avvertono che l’attività mineraria può causare danni irreversibili agli oceani e alla vita marina che ospitano, ma non è tutto: l’attività mineraria può interferire anche con i processi naturali con i quali gli oceani sequestrano e immagazzinano il carbonio. Le acque degli oceani infatti catturano il carbonio in superficie e lo trasferiscono in profondità, mitigando gli impatti sempre più devastanti del cambiamento climatico: questo vuol dire che le estrazioni minerarie negli abissi, oltre a minacciare gli ecosistemi marini, possono addirittura accelerare la crisi climatica.

È ora di ratificare il Trattato globale per la protezione degli oceani!

Il via libera all’estrazione mineraria nelle acque dell’Artico rappresenta una vera contraddizione, se consideriamo che la Norvegia è uno dei Paesi che nel 2023 hanno firmato il Trattato delle Nazioni Unite sugli oceani. Una volta firmato, il Trattato deve essere rispettato, ma non solo: nel 2024 è il momento di passare ai fatti. La ratifica del Trattato permetterà finalmente di creare dei veri santuari in alto mare, ovvero delle aree marine libere da ogni attività di sfruttamento, incluse le estrazioni minerarie. Una svolta attesa da tempo grazie alla quale sarà possibile creare delle aree protette anche nel Mar Mediterraneo.

Proprio per impedire che compagnie senza scrupoli come quelle minerarie inizino a saccheggiare uno degli ambienti più vulnerabili come i fondali marini è necessario attuare misure di protezione urgenti. Ora più che mai chiediamo ai governi, incluso quello italiano, di impegnarsi una volta per tutte per proteggere gli oceani e di ratificare il trattato al più presto!