The Greenpeace ship MY Rainbow Warrior sailing in the Adriatic Sea in Italy. La Rainbow Warrior nel Mar Adriatico.

L’Adriatico è un mare a sé. Stretto e lungo, battuto da venti talvolta devastanti, per i greci era un golfo e Adria, lassù in cima, uno snodo fondamentale del commercio (soprattutto, stagno e ambra). Questo è il mare più produttivo tra quelli che circondano la penisola italiana grazie all’apporto di nutrienti del Po e degli altri fiumi e ai bassi fondali sui quali essi si depositano. Luce e nutrienti promuovono una grande crescita di fitoplancton che sostiene una robusta rete alimentare. Purtroppo è un mare colpito da impatti multipli come pesca eccessiva, trasporti, estrazione di idrocarburi, inquinamento da fiumi e altre fonti terrestri. E, per finire, nell’Alto Adriatico, in particolare la costa “padana”, è in prima fila per gli impatti del cambiamento climatico. Secondo ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) è qui che si concentra oltre il 95%  dei 5.686,4 km2 di territorio italiano a rischio inondazione, a fine secolo, a causa dell’innalzamento del livello del mare.

La nostra Rainbow Warrior ha navigato nell’Alto Adriatico perché qui più che altrove si percepisce la fragilità del nostro Paese rispetto agli impatti del cambiamento climatico a lungo ignorati o negati (come testimonia una raccomandazione al Governo votata a maggioranza dal Senato, alla vigilia del G8 de L’Aquila nel 2009). 

Adesso, negare questi impatti è difficile ma per continuare a fare affari, non c’è nulla di meglio che darsi una bella verniciata di verde. Ad esempio con la bufala del gas fossile “amico del clima” che sostiene ormai da anni le politiche energetiche del nostro Paese.

Contro questa deriva, Greenpeace ha presentato una proposta di legge popolare europea per vietare le pubblicità delle fonti fossili (non sono forse più pericolose delle sigarette?) e a Venezia ha inscenato l’ultimo giro turistico di una città che non affonda per caso, ma perché qualcuno ha deciso che delle fonti fossili non possiamo fare a meno.

Non contenti di esserci legati al gas russo, piuttosto che avviare finalmente una transizione ecologica seria, stiamo cercando gas fossile (che sul clima ha impatti equivalenti a quelli del carbone) ovunque, compresi i fondali dell’Alto Adriatico. Che da queste parti di gas ce ne sia tantissimo non è un mistero: si stima 90 miliardi di metri cubi. E certo le estrazioni non sono una novità: cominciate nei primi decenni dello scorso secolo, proseguirono fino agli inizi degli anni ’60 quando ci si accorse che, a causa di quelle estrazioni, il terreno di compattava e sprofondava. Sono passati oltre sessant’anni da quello stop, e ancora il terreno – ad esempio nel Delta del Po – continua a sprofondare con costi economici e ambientali non indifferenti. Servono le idrovore per tenere i campi all’asciutto.

Research conducted onboard the Rainbow Warrior during the tour in the Adriatic Sea.

Anche in mare c’è una “zona vietata” alle estrazioni di idrocarburi, sempre per il rischio subsidenza, ma da queste parti il timore che le trivelle ripartano è grande. Sarebbe un disastro: per il clima, ma anche per questo ecosistema marino unico.  Per testimoniare la ricchezza di questo mare, Greenpeace ha offerto la Rainbow Warrior come piattaforma di ricerca al Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione dell’Università di Padova che ha il compito di monitorare la popolazione di delfini e tartarughe in un’area da poco protetta proprio di fronte al Parco del Delta del Po. I risultati sono andati oltre le attese e confermano l’assurdità di un progetto di trivellazione (per ora bloccato) che se dovesse partire avrebbe effetti devastanti.

Resistere a questi progetti vuol dire avere un’idea diversa del nostro futuro, un futuro che è possibile e realizzabile. Ci sono comunità, settori economici, persone che sono in prima fila rispetto a queste minacce e la Rainbow Warrior ha voluto lanciare anche un messaggio di speranza e di forza: uniti, possiamo fare la differenza e contrastare chi ha deciso che – pur di sfruttare le fonti fossili fino all’ultimo – possiamo fare a meno della bellezza di Venezia come dei delfini, delle tartarughe o di quel complesso di attività umane che nei secoli hanno forgiato il Delta del Po.

Noi ci siamo, in mare per il mare (e non solo).

Proteggi gli Oceani

Cambiamenti climatici, pesca eccessiva, estrazioni minerarie, trivellazioni, plastica: i nostri oceani subiscono di tutto per colpa dell’avidità umana. Spesso sono proprio le zone d’Alto Mare, al di fuori della giurisdizione degli Stati costieri, a diventare prede degli interessi di pochi Stati ricchi e potenti o di aziende spregiudicate. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore? Non possiamo accettarlo: per difendere il fragile e meraviglioso ecosistema marino, serve creare una rete di Santuari d’Alto mare su scala planetaria.

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