Pubblichiamo i dati delle indagini effettuate nel corso dell’estate 2020 e ci prepariamo a salpare per una nuova spedizione di ricerca sullo stato di salute dei nostri mari.

Nelle acque del Mar Tirreno centro-settentrionale e nelle specie marine che lo popolano c’è una diffusa presenza di microplastiche e microfibre, con picchi di contaminazione nelle acque superficiali del Canale di Corsica. È quanto emerge dalle indagini che abbiamo effettuato insieme a ricercatrici e ricercatori del CNR e del DISVA dell’Università Politecnica delle Marche nel corso dell’estate 2020, durante il nostro tour nel Mar Tirreno, e che pubblichiamo in occasione della Giornata mondiale degli oceani.

Nel tratto di mare investigato, la presenza di microplastiche e microfibre non è diminuita rispetto agli anni precedenti nonostante il lockdown dovuto alla pandemia di Covid-19. Al contrario, abbiamo registrato un aumento della contaminazione nelle acque, in particolare nel Canale di Corsica fino a Capraia, con concentrazioni superiori al milione e mezzo di particelle per chilometro quadrato, paragonabili a quelle presenti nei grandi vortici oceanici.

Un dato che conferma quanto già evidenziato da altre ricerche scientifiche condotte nell’area dove, a causa di una circolazione anticiclonica nota come Capraia Gyre, può crearsi una zona di accumulo transitoria di microplastiche.

Spedizione di ricerca “Difendiamo il mare” di Greenpeace Italia nel Mar Tirreno/ 2020

In alcune aree, grazie a tecniche innovative abbiamo potuto stimare la concentrazione di microplastiche e microfibre all’aumentare della profondità: a dieci metri di profondità questa concentrazione è risultata fino a cento volte più elevata rispetto alla superficie. 

Infine, abbiamo effettuato indagini anche sugli organismi marini: la contaminazione da microplastiche e microfibre è in diminuzione rispetto agli anni precedenti. Ma anche qui non mancano alcune criticità, come nel caso dei pesci della zona di Camogli (sgombri e sugarelli) che, nel corso dell’indagine, hanno evidenziato le frequenze di ingestione più elevate. 

Non si registrano invece, livelli elevati di microplastiche nelle specie marine selvatiche e di allevamento (mitili e spigole) prelevate nel Golfo di Follonica, l’area marina interessata dallo sversamento di balle di rifiuti in plastica avvenuto nel 2015 ad opera della motonave IVY e ancora oggi non del tutto recuperate.

Spedizione di ricerca “Difendiamo il mare” di Greenpeace Italia nel Mar Tirreno/ 2020

Bisogna classificare la plastica come materiale pericoloso

Quello che emerge dai dati raccolti è che il nostro mare è malato a causa dell’inquinamento da plastica. E questa situazione è destinata ad aggravarsi, visto che stime recenti indicano come la produzione di plastica triplicherà nei prossimi decenni. 

Dopo il recente disastro del cargo affondato in Sri Lanka che ha sversato in mare diverse tonnellate di polietilene, chiediamo che la plastica sia classificata materiale pericoloso e quindi sottoposta alla relativa normativa internazionale. È inaccettabile che ancora oggi, nonostante sempre più evidenze, aziende e governi non affrontino concretamente il problema. 

Torniamo a salpare per nuove ricerche

Spedizione di ricerca “Difendiamo il mare” di Greenpeace Italia nel Mar Tirreno/ 2020

Per continuare a monitorare lo stato di salute dei nostri mari torneremo a navigare anche quest’anno. Tra poche settimane attraverseremo il Mare Adriatico, con la spedizione di ricerca “Difendiamo il mare” a bordo della barca a vela Bamboo della Fondazione Exodus. Con noi, ci saranno ancora una volta i ricercatori dell’Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR-IAS) di Genova, dell’Università Politecnica delle Marche e del DISTAV dell’Università di Genova. Monitoreremo la contaminazione da plastica e microplastica e gli impatti del cambiamento climatico nel tratto di mare tra Ancona e Brindisi: segui le nostre pagine per restare aggiornato!

Per approfondire:

Più mare, meno plastica!

Il mare non è una discarica: chiedi alle aziende di abbandonare l’usa e getta.

Partecipa