A man passes by a logo on Amazon.com’s main headquarters campus. The campus is comprised of 11 buildings in the South Lake Union neighborhood.

C’è chi fa la sua parte, contribuendo alla collettività e al Pianeta, e chi invece può farne a meno, sfruttando le regole per fare profitti. Vi sembra giusto?

A noi no: per questo abbiamo deciso di aderire a #MakeAmazonPay, la causa sostenuta da una lunga serie di realtà (politiche, sindacali, associazionistiche) e combattuta in prima linea da magazzinieri e magazziniere, lavoratori e lavoratrici di Amazon, ma anche attivisti e attiviste del clima di tutto il mondo.

Ci sono almeno 3 diversi validi motivi per cui lo strapotere di Amazon non è più accettabile e va ripensato l’intero sistema di produzione e consumo in cui si muove il colosso del web.

1 – AMAZON E I DIRITTI DEI LAVORATORI 

Amazon è un soggetto economico di dimensioni epocali – vale oggi miliardi di dollari e il suo creatore e amministratore delegato, Jeff Bezos, è la prima persona nella storia ad accumulare 200 miliardi di dollari di ricchezza personale- ma non può essere un impero in cui non esistono regole, se non quelle della produttività e del profitto.

Dovrebbe garantire il diritto ad un lavoro sicuro e dignitoso, non un ambiente in cui alle critiche da parte di un lavoratore o una lavoratrice segua il timore di una ritorsione o della perdita del posto. 

Chi aderisce a uno sciopero o a un sindacato dovrebbe essere davvero libero di farlo anche nelle realtà dei magazzini, della logistica, delle consegne.

2- AMAZON E IL CLIMA

Inutile negarlo: con la crescita esponenziale del suo giro d’affari, anche l’impronta climatica di Amazon è notevolmente aumentata. Oggi le sue emissioni di CO2 sono superiori a quelle dei due terzi dei Paesi del mondo.

Amazon – ha affermato la direttrice esecutiva di Greenpeace Jennifer Morgan – è diventata una multinazionale da miliardi di dollari solo grazie ad un sistema malato che spinge al massimo il consumismo, sfrutta il Pianeta e nutre le disuguaglianze. Mentre Bezos continua ad ammassare ricchezze, le persone che lavorano per  Amazon si assumono grossi rischi, ricevendo in cambio troppo poco. Di fronte ad un’impronta climatica superiore a quella di alcuni Paesi, Greenpeace conferma la propria solidarietà a chi vuole arginare lo strapotere di Amazon e le sue pratiche distruttive per il clima”.

3- AMAZON E LE TASSE 

Si è molto discusso di come Amazon riesca a godere di un trattamento fiscale privilegiato. La verità è che anche se non c’è nulla di illegale, sia ben chiaro, non c’è nemmeno nulla di socialmente accettabile. 

Nel 2019 Amazon ha pagato solo l’1,2% di tasse negli Stati Uniti, il paese in cui ha sede, rispetto allo 0% dei due anni precedenti.

Anche in Italia, i colossi del web, Amazon compresa, hanno versato ben poco rispetto a quanto ricavato sul mercato.

Amazon, va detto, non è l’unica azienda a godere di queste pratiche fiscali (non a caso si parla da tempo di introdurre una web tax), ma di certo è una delle aziende con il più grande giro d’affari al mondo, anche in Italia, dove si piazza al primo posto.

È il momento di pretendere che Amazon “paghi”e cioè che cominci a fare la sua parte per:

  • rispettare i diritti dei lavoratori,
  • ridurre la propria impronta climatica,
  • pagare le tasse in modo chiaro e proporzionato, esattamente come tutti gli altri.