A reproduction of a giant Christmas gift made by recovered throw away plastic.

Compra ora, acquista, approfitta dello sconto, non perderti il Black Friday, consuma. Chi di noi non ha letto queste frasi navigando online anche negli ultimi istanti prima di arrivare a questo articolo? 

#NataleSenzaAmazon

Mentre scriviamo, sui social sta continuando a diffondersi la campagna #NataleSenzaAmazon (#NoelSansAmazon in Francia, dove è nata), cavalcata anche da differenti fazioni politiche.

Il motivo per cui oggi riusciamo da più parti a vedere più chiaramente i limiti – e non solo la comodità – del commercio online da “instant delivery”, in un solo click, è semplice: la crisi del Covid-19 sta mordendo l’economia di tutto il mondo, e i piccoli commercianti, già fortemente provati dal capitalismo sfrenato degli ultimi decenni, rischiano di chiudere le saracinesche per sempre. 

Si potrebbe dire: è il mercato, bellezza. Se non fosse che il mercato, in fondo in fondo, è fatto anche dalle nostre scelte, non solo come “consumatori” ma in quanto cittadini. Non a caso anche due sindache di grandi città come Barcellona e Parigi hanno risposto aderendo all’appello.

La petizione francese #NoelSansAmazon, sostenuta anche da noi di Greenpeace, punta a “privilegiare il commercio di prossimità”, per motivi che sono diversi, e trasversalmente condivisibili: la lotta alla disuguaglianza sociale, la necessità di un limite al trattamento fiscale privilegiato che spesso esiste a favore dei colossi, l’evidenza dello strapotere delle multinazionali che hanno risorse maggiori del PIL di alcuni Stati, l’impatto ambientale e la crisi climatica, lo sviluppo di un’economia davvero circolare. Non vi sembra che siano tutti buoni motivi per reinventare i nostri consumi e capire che non c’è bisogno di essere di questo o quel partito per provare a passare un #NataleSenzaAmazon?

Cosa succede dopo il click

Il numero di acquirenti digitali in tutto il mondo continua a crescere ogni anno. Nel 2019, circa 1,92 miliardi di persone hanno acquistato beni o servizi online e, secondo i calcoli più recenti, la crescita dell’e-commerce accellererà ulteriormente in futuro.

Ma se certamente sappiamo cosa ci spinge ad acquistare online, spesso non sappiamo cosa succede dopo il nostro click

1- Le emissioni aumentano

Fra le cause che generano il  60% di tutte le emissioni globali di gas serra c’è anche la nostra dipendenza dai consumi frenetici. Solo l’industria dell’abbigliamento e delle calzature contribuisce a oltre l’8% del totale dei gas serra globali.

Inoltre, molti prodotti percorrono grandi quantità di chilometri su trasporti basati ancora su combustibili fossili prima di raggiungere le nostre case.

2- Vengono generati milioni di tonnellate di rifiuti

Facciamo un esempio mainstream e parliamo ad esempio del settore elettronico, in cui l’obsolescenza dei prodotti ha un certo peso specifico: solo nel 2019 sono stati prodotti 53,6 milioni di tonnellate (Mt) di rifiuti elettronici in tutto il mondo. Siamo letteralmente bombardati da pubblicità di nuovi modelli di smartphone e dispositivi all’ultimo grido, da status – symbol, ma il nostro Pianeta non può più sopportarne lo smaltimento. Dobbiamo farci i conti.

Se state pensando che tutto questo possa essere riciclato… ci dispiace, ma dobbiamo darvi una brutta notizia:  solo il 17,4% di questi è stato raccolto e riciclato.

3- Amazon: il potere di distruggere

Per chiudere, ci sembra doveroso ricordare quella che è diventata una prassi – legale – per il gigante degli acquisti online Amazon: distruggere articoli dei venditori terzi che restano invenduti nei propri magazzini.

Nella puntata di Presa Diretta dedicata al mondo degli acquisti online e delle consegne abbiamo raccontato cosa accade: esistono degli addetti alla distruzione dei prodotti invenduti che ogni giorno possono arrivare anche a distruggere 20-30mila euro di merce invenduta. Questo è possibile, come ha spiegato anche un’investigazione di Mani Tese, grazie ad un sistema che incentiva economicamente i venditori a lasciare che Amazon distrugga i propri articoli invenduti piuttosto che riceverli come reso.


Non si tratta di opporsi alla crescita e allo sviluppo delle nostre economie. Tutti acquistiamo beni e servizi e non possiamo sentirci in colpa quando lo facciamo, non c’è dubbio. Quello che possiamo fare è scegliere come, e preferire delle alternative sostenibili almeno ogni volta che questo sia possibile. Scegliere la prossimità, il riuso degli oggetti, l’acquisto di seconda mano sono alternative che possono offrirci delle soluzioni più spesso di quanto pensiamo.