Per quanto l’accordo raggiunto in sede europea sul Recovery Fund sia per molti versi “storico” sul piano politico e per la sua dimensione economica, il suo contenuto è alquanto deludente: la svolta verde è troppo debole e il vero rischio è che ingenti risorse finiscano per essere destinate alle vecchie attività inquinanti. Se dopo la pandemia si doveva “cambiare strada” e mettere in atto una strategia economica che ponesse le Persone e il Pianeta Prima del Profitto, questo non sta purtroppo avvenendo.

Una analisi di Energy Policy Tracker, pubblicata da poco, mostra come finora la reazione dei governi alla crisi economica, provocata dal blocco delle attività per fronteggiare la pandemia, abbia premiato le fonti fossili che incassano un 56 per cento di fondi a fronte del 33 per cento destinato alle rinnovabili.

E, focalizzando l’attenzione su Germania, Francia e Italia – tre Paesi protagonisti dell’accordo in sede UE – si nota che la quota destinata alle fonti fossili sale a circa il 58 per cento, con 40 miliardi di sussidi contro i 29 indirizzati alle rinnovabili. L’Italia, poi, segna il risultato peggiore tra i peggiori: tutti i sostegni energetici sono andati al fossile per una quota pari a circa 3,3 miliardi di euro.

Il punto politicamente più debole è stato quello di non aver imposto una lista di esclusione per impedire che gli aiuti economici andassero a industrie inquinanti (come sostenuto dal Ministro per l’Ambiente Costa) e di non aver impedito la riduzione dei fondi alla salute, alla ricerca e al clima. Se, dunque, nell’accordo è stato stabilito che il 30 per cento dei sussidi deve essere orientato per combattere la crisi climatica, nulla impedirà che altri fondi vadano a finanziare anche le cause dei cambiamenti climatici: una politica contraddittoria e schizofrenica che speriamo venga corretta nel passaggio al Parlamento Europeo.

Secondo l’accordo, poi, l’accesso alla metà del fondo di “transizione giusta” di 7,5 miliardi di euro, dipenderà dal sostegno all’obiettivo dell’Unione Europea di “neutralità climatica” entro il 2050, e sarà guidato dal Green Deal che, però, risulta già insufficiente per centrare gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi. Infatti, gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni di CO2 al 2030 in discussione oscillano tra il 50 e il 55 per cento rispetto al 1990 e non sono adeguati per limitare l’aumento globale della temperatura a 1,5°C.

Altri segnali poco incoraggianti sono il taglio da 10 a 7,5 miliardi di euro di sussidi per lo sviluppo rurale in linea col Green Deal e la riduzione da 30 a 10 miliardi per lo stanziamento supplementare degli aiuti per sostenere i territori più in difficoltà sulla transizione ecologica.

Nessuna garanzia di una ripresa più ecologica e più giusta, dunque, ma un serio rischio di verniciare con un po’ di verde le vecchie politiche fossili. Speriamo che il Parlamento Europeo possa migliorare questo accordo che così com’è rimane del tutto insufficiente. Nulla a che fare con una una vera svolta per una ripresa verde e giusta dopo la crisi del Covid-19.