La crisi climatica ci sta mettendo di fronte a un’altra stagione di eventi estremi, con l’alternarsi di lunghi periodi siccitosi (come quelli che hanno caratterizzato buona parte della primavera) a precipitazioni violente e intense accompagnate da frane ed esondazioni, come quelle che hanno colpito appena poche settimane fa l’Emilia-Romagna. Sono fenomeni correlati tra loro più quanto si pensi e che fanno emergere, una volta di più, la necessità di affrontare in maniera strutturale e con soluzioni veramente sostenibili le cause del cambiamento climatico in atto.
Intanto, le previsioni dell’agenzia europea Copernicus raccontano di un’altra estate con temperature di molto superiori alla media. Che scenari dovremo attenderci, dunque, per il prossimo futuro in Italia? Lo abbiamo chiesto a Ramona Magno, coordinatrice scientifica dell’Osservatorio Siccità del CNR-IBE.

Cosa rende la siccità degli ultimi anni così diversa dalle altre?

La siccità degli ultimi due anni è molto particolare rispetto a quelle del passato: nei mesi invernali ha giocato il fattore grande caldo, la scarsità di piogge e la scarsità di neve. In generale, però, sono anni che siamo soggetti a fenomeni siccitosi. Tuttavia, si continua ancora ad agire attraverso una gestione della crisi piuttosto che con una più proattiva del rischio. E anche in questo caso siamo nettamente in ritardo. Abbiamo conoscenza e le tecnologie, ma spesso vengono a mancare una concertazione politica e una programmazione a lungo termine.

Siamo di fronte a un trend? Quali conseguenze a lungo termine si potrebbero avere?

Dai dati che abbiamo si nota un certo trend. Dall’inizio di questo secolo, per far riferimento al periodo a noi più vicino, ogni tre-quattro anni circa si assiste a fenomeni siccitosi intensi e prolungati. Quel che sta cambiando è la frequenza e l’intensità di questi fenomeni, ma anche la concomitanza di fenomeni estremi che amplificano gli impatti sul territorio. È ormai chiaro che questo trend è legato ai cambiamenti climatici. L’aumento di concentrazione di gas serra determina un aumento della temperatura. Temperature più alte vogliono dire maggiore energia nel sistema atmosfera-acqua-suolo e quindi un’intensificazione del ciclo dell’acqua, che comporta eventi estremi quali siccità e precipitazioni più intense.

Quindi la siccità è una delle prove che ci porta a tastare con mano il cambiamento climatico?

Certamente. Il bacino del Mediterraneo è considerato un “hot spot”, un’area dove i cambiamenti climatici sono più evidenti, e dovremo affrontare siccità, ondate di calore, ma anche precipitazioni che diventeranno sempre più intense. Siamo già testimoni di questa intensificazione, e se continua questo processo questi fenomeni diventeranno sempre più frequenti ed estesi. Purtroppo, i cambiamenti climatici sono in atto e, oltre ad azioni di mitigazione, dobbiamo imparare ad adattarci, cambiando le nostre abitudini e cercando di risparmiare le risorse finite di cui disponiamo.

In Italia quali sono le zone più colpite?

Il deficit in alcune zone del Nord Ovest è abbastanza importante. Non potrebbe essere diversamente, visto che siamo al secondo anno di una scarsissima stagione nevosa.
Turnazioni irrigue molto più rigorose potrebbero diventare la norma; si potrebbe arrivare anche a razionamenti di acqua per uso idropotabile in diversi comuni.

Colpisce il dato delle risaie e culture irrigue diffuso a marzo, in cui si evidenzia che il 38% di questi terreni sono soggetti a deficit di pioggia da ben due anni…

La Pianura Padana è un’area colpita da severità idrica, e di conseguenza lo sono anche le sue coltivazioni, tra cui spiccano risaie e mais, colture estive che hanno bisogno di molta acqua per crescere. Ma non solo riso e mais, se non vi sarà un’inversione di tendenza saranno fortemente colpite anche altre colture, tra cui quelle orticole come insalata o pomodori che, rispetto alle colture tipicamente invernali, richiedono un uso maggiore di acqua per far fronte alla stagione estiva.

Come dobbiamo immaginarci i nostri campi, la nostra agricoltura, le nostre tavole, nel prossimo futuro?

Si dovrà ripensare il modo di coltivare, attraverso tecniche che permettano di ottimizzare la risorsa idrica e l’utilizzo di varietà colturali più adatte al “nuovo clima” e più resistenti a periodi di siccità prolungate.
In Sicilia, per esempio, ora si coltivano il mango e le banane, prodotti che fino a qualche decennio fa erano impensabili per quel territorio.
Ma alcuni cambiamenti li stiamo vedendo anche nel Nord Italia: diversi risicoltori sono costretti a destinare parte dei loro campi a seminativi invernali, per evitare di perdere il raccolto.
Da non trascurare, inoltre, il fatto che la Pianura Padana è una delle zone a rischio desertificazione (intesa come impoverimento della fertilità del suolo), dovuta al cambiamento climatico, alla salinizzazione delle falde e alla gestione antropica non sempre sostenibile.

Quali comportamenti dovremmo modificare per affrontare la siccità?

La parola chiave è il risparmio idrico, anche programmando un uso diverso dell’acqua in ambito agricolo. Si deve tenere presente che l’acqua non è infinita e nei prossimi decenni ne avremo a disposizione sempre meno. C’è un bilancio tra precipitazioni e ciò che preleviamo. Se questi apporti tendono a ridursi, non possiamo pensare che i prelievi continuino con la stessa intensità.

Per contrastare la siccità sempre più evidente anche in Italia, Greenpeace propone 8 azioni concrete al governo Meloni.
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