JBS, la più grande azienda produttrice di carne al mondo, non riuscirà a rispettare il suo impegno di eliminare la deforestazione dalla propria filiera in Amazzonia entro la fine del 2025, secondo l’inchiesta pubblicata il 17 aprile, frutto di una collaborazione tra The GuardianRepórter Brasil e Unearthed, l’unità di giornalismo investigativo di Greenpeace UK.

L’inchiesta si basa su decine di interviste con produttori che operano all’interno dell’estesa filiera di JBS in Amazzonia, incluso un dipendente della stessa azienda. Gli allevatori intervistati hanno descritto un sistema “pieno di falle”, sostenendo in gran parte che ottenere una filiera tracciabile e priva di deforestazione entro la fine dell’anno è un obiettivo irrealizzabile.

L’inchiesta svela inoltre presunti casi in cui JBS avrebbe chiuso un occhio o addirittura collaborato attivamente al fenomeno del cattle laundering (letteralmente, riciclaggio di bestiame), ovvero la reimmissione sul mercato di capi di bestiame provenienti da allevamenti sanzionati per deforestazione illegale. Un allevatore nello stato brasiliano del Pará, dove JBS sta testando un programma pilota con etichette elettroniche per tracciare l’origine dei bovini, avrebbe dichiarato che l’azienda ha applicato le etichette a capi pronti per la macellazione anziché alla nascita come si dovrebbe fare. Secondo l’allevatore, questa pratica servirebbe ad aumentare il valore della carne destinata all’esportazione.

Queste rivelazioni emergono mentre JBS si prepara a concludere le approvazioni per la sua quotazione alla Borsa di New York, accompagnata da una ristrutturazione societaria che prevede lo spostamento della sede legale della capogruppo dal Brasile ai Paesi Bassi. Lo scorso mese, l’azienda – che rifornisce colossi come McDonald’s, Tesco e Walmart, ed è finanziata da banche come Barclays, Santander e Rabobank – ha annunciato un utile di 1,8 miliardi di dollari nel 2024.

A febbraio, il team legale di Greenpeace International ha inviato una diffida allo studio notarile olandese Loyens & Loeff, che rappresenta JBS, chiedendo di verificare se fornire assistenza legale all’azienda per la ristrutturazione e la quotazione in borsa sia compatibile con i doveri professionali dello studio, alla luce dei legami di JBS con la distruzione ambientale, la corruzione e le violazioni dei diritti umani. 

«Questa inchiesta dovrebbe spazzare via ogni illusione che JBS possa eliminare la deforestazione dalla propria filiera in Amazzonia entro la fine dell’anno. Dovrebbe anche sollevare serie domande sul fatto che JBS abbia ingannato gli investitori, promettendo un obiettivo che non aveva alcuna reale intenzione – o possibilità – di raggiungere. Al di là delle gravi falle e irregolarità evidenziate, è ormai chiaro che il sistema di monitoraggio della deforestazione di JBS non è efficace», dichiara Martina Borghi della campagna Foreste di Greenpeace Italia. 

«Le multinazionali dell’agroindustria come JBS continuano a trarre profitti enormi mentre distruggono foreste ed ecosistemi fondamentali per la vita sul pianeta. I governi europei devono fare la loro parte, respingendo l’accordo UE-Mercosur che avvantaggia solo le grandi aziende del settore. L’Unione Europea deve invece garantire l’applicazione piena ed efficace del regolamento per smettere di importare deforestazione (EUDR), uno strumento fondamentale per evitare che il consumo europeo continui a distruggere le foreste del mondo», conclude Borghi.

Nel 2022 JBS ha annunciato che avrebbe eliminato la deforestazione in Amazzonia dalle proprie filiere entro il 2025, e in tutti gli altri biomi entro il 2030, rafforzando una promessa già fatta nel 2021. L’obiettivo finale dell’azienda è raggiungere zero deforestazione su tutta la filiera entro il 2035 e zero emissioni nette entro il 2040.

Jason Weller, direttore globale della sostenibilità di JBS, ha ribadito questo impegno davanti alla commissione finanze del Senato statunitense durante un’audizione sul ruolo dell’azienda nella deforestazione amazzonica. Tuttavia, all’inizio del 2024, Weller ha ridimensionato pubblicamente l’impegno dichiarando che l’obiettivo relativo alle emissioni “non è mai stato una promessa” e sollevando dubbi anche sull’impegno contro la deforestazione.

JBS ha già formulato – e mancato – impegni simili in passato, in particolare nel 2009, quando l’azienda è finita al centro di uno scandalo globale a seguito del rapporto “Slaughtering the Amazon” pubblicato da Greenpeace International. L’impegno di allora era stato rafforzato da accordi legalmente vincolanti con le procure dei principali Stati amazzonici, che imponevano a JBS di non acquistare bovini legati a deforestazione illegale avvenuta dopo il 2008. La lunga storia di distruzione ambientale e illeciti finanziari di JBS è ben documentata.

Secondo l’organizzazione di esperti satellitari AidEnvironment, almeno 3.240 km² di deforestazione – un’area più grande del Lussemburgo – sono stati collegati a 17 dei 21 macelli attivi in Amazzonia riconducibili alla filiera JBS, a partire dal primo impegno del 2009.

Dal punto di vista finanziario, JBS è esposta a responsabilità legali per un valore stimato fino a 6,4 miliardi di dollari tra cause penali, civili e altri procedimenti. Inoltre, un recente rapporto di Greenpeace Nordic stima che le emissioni di metano di JBS siano paragonabili a quelle di ExxonMobil e Shell messe insieme, collocando l’azienda al quinto posto tra i maggiori emettitori mondiali di metano. JBS è inoltre accusata di aver fuorviato gli investitori in merito ai propri obiettivi di riduzione delle emissioni. La sua strategia continua a puntare sull’espansione del settore della carne.

JBS, la più grande azienda produttrice di carne al mondo, non riuscirà a rispettare il suo impegno di eliminare la deforestazione dalla propria filiera in Amazzonia entro la fine del 2025, secondo l’inchiesta pubblicata il 17 aprile, frutto di una collaborazione tra The GuardianRepórter Brasil e Unearthed, l’unità di giornalismo investigativo di Greenpeace UK.

L’inchiesta si basa su decine di interviste con produttori che operano all’interno dell’estesa filiera di JBS in Amazzonia, incluso un dipendente della stessa azienda. Gli allevatori intervistati hanno descritto un sistema “pieno di falle”, sostenendo in gran parte che ottenere una filiera tracciabile e priva di deforestazione entro la fine dell’anno è un obiettivo irrealizzabile.

L’inchiesta svela inoltre presunti casi in cui JBS avrebbe chiuso un occhio o addirittura collaborato attivamente al fenomeno del cattle laundering (letteralmente, riciclaggio di bestiame), ovvero la reimmissione sul mercato di capi di bestiame provenienti da allevamenti sanzionati per deforestazione illegale. Un allevatore nello stato brasiliano del Pará, dove JBS sta testando un programma pilota con etichette elettroniche per tracciare l’origine dei bovini, avrebbe dichiarato che l’azienda ha applicato le etichette a capi pronti per la macellazione anziché alla nascita come si dovrebbe fare. Secondo l’allevatore, questa pratica servirebbe ad aumentare il valore della carne destinata all’esportazione.

Queste rivelazioni emergono mentre JBS si prepara a concludere le approvazioni per la sua quotazione alla Borsa di New York, accompagnata da una ristrutturazione societaria che prevede lo spostamento della sede legale della capogruppo dal Brasile ai Paesi Bassi. Lo scorso mese, l’azienda – che rifornisce colossi come McDonald’s, Tesco e Walmart, ed è finanziata da banche come Barclays, Santander e Rabobank – ha annunciato un utile di 1,8 miliardi di dollari nel 2024.

A febbraio, il team legale di Greenpeace International ha inviato una diffida allo studio notarile olandese Loyens & Loeff, che rappresenta JBS, chiedendo di verificare se fornire assistenza legale all’azienda per la ristrutturazione e la quotazione in borsa sia compatibile con i doveri professionali dello studio, alla luce dei legami di JBS con la distruzione ambientale, la corruzione e le violazioni dei diritti umani. 

«Questa inchiesta dovrebbe spazzare via ogni illusione che JBS possa eliminare la deforestazione dalla propria filiera in Amazzonia entro la fine dell’anno. Dovrebbe anche sollevare serie domande sul fatto che JBS abbia ingannato gli investitori, promettendo un obiettivo che non aveva alcuna reale intenzione – o possibilità – di raggiungere. Al di là delle gravi falle e irregolarità evidenziate, è ormai chiaro che il sistema di monitoraggio della deforestazione di JBS non è efficace», dichiara Martina Borghi della campagna Foreste di Greenpeace Italia. 

«Le multinazionali dell’agroindustria come JBS continuano a trarre profitti enormi mentre distruggono foreste ed ecosistemi fondamentali per la vita sul pianeta. I governi europei devono fare la loro parte, respingendo l’accordo UE-Mercosur che avvantaggia solo le grandi aziende del settore. L’Unione Europea deve invece garantire l’applicazione piena ed efficace del regolamento per smettere di importare deforestazione (EUDR), uno strumento fondamentale per evitare che il consumo europeo continui a distruggere le foreste del mondo», conclude Borghi.

Nel 2022 JBS ha annunciato che avrebbe eliminato la deforestazione in Amazzonia dalle proprie filiere entro il 2025, e in tutti gli altri biomi entro il 2030, rafforzando una promessa già fatta nel 2021. L’obiettivo finale dell’azienda è raggiungere zero deforestazione su tutta la filiera entro il 2035 e zero emissioni nette entro il 2040.

Jason Weller, direttore globale della sostenibilità di JBS, ha ribadito questo impegno davanti alla commissione finanze del Senato statunitense durante un’audizione sul ruolo dell’azienda nella deforestazione amazzonica. Tuttavia, all’inizio del 2024, Weller ha ridimensionato pubblicamente l’impegno dichiarando che l’obiettivo relativo alle emissioni “non è mai stato una promessa” e sollevando dubbi anche sull’impegno contro la deforestazione.

JBS ha già formulato – e mancato – impegni simili in passato, in particolare nel 2009, quando l’azienda è finita al centro di uno scandalo globale a seguito del rapporto “Slaughtering the Amazon” pubblicato da Greenpeace International. L’impegno di allora era stato rafforzato da accordi legalmente vincolanti con le procure dei principali Stati amazzonici, che imponevano a JBS di non acquistare bovini legati a deforestazione illegale avvenuta dopo il 2008. La lunga storia di distruzione ambientale e illeciti finanziari di JBS è ben documentata.

Secondo l’organizzazione di esperti satellitari AidEnvironment, almeno 3.240 km² di deforestazione – un’area più grande del Lussemburgo – sono stati collegati a 17 dei 21 macelli attivi in Amazzonia riconducibili alla filiera JBS, a partire dal primo impegno del 2009.

Dal punto di vista finanziario, JBS è esposta a responsabilità legali per un valore stimato fino a 6,4 miliardi di dollari tra cause penali, civili e altri procedimenti. Inoltre, un recente rapporto di Greenpeace Nordic stima che le emissioni di metano di JBS siano paragonabili a quelle di ExxonMobil e Shell messe insieme, collocando l’azienda al quinto posto tra i maggiori emettitori mondiali di metano. JBS è inoltre accusata di aver fuorviato gli investitori in merito ai propri obiettivi di riduzione delle emissioni. La sua strategia continua a puntare sull’espansione del settore della carne.