
Greenpeace accoglie con favore l’accordo raggiunto alla Conferenza delle Parti sulla Biodiversità (COP16Bis) che si è conclusa stanotte alla FAO con la definizione di un’architettura finanziaria per la salvaguardia della biodiversità, ma avverte che le promesse per garantire i finanziamenti necessari devono concretizzarsi con urgenza, dando priorità all’accesso diretto ai fondi per i Popoli Indigeni e le comunità locali. L’accordo finalizzato ieri a Roma stabilisce una roadmap fino alla COP19 che nel 2030 dovrà colmare il gap di 700 miliardi di dollari all’anno di finanziamenti necessari a invertire la perdita di biodiversità e sviluppare un’architettura finanziaria efficace per gestire strumenti esistenti e futuri.
Dal 25 al 27 febbraio, i governi di tutto il mondo si sono riuniti alla FAO per la sessione straordinaria della Conferenza delle Parti sulla Biodiversità (COP16Bis), convocata dopo la sospensione della COP16 di Cali, lo scorso novembre in Colombia, a causa del mancato accordo sulle risorse economiche promesse dai Paesi del Nord globale al Sud del mondo per contrastare la perdita di biodiversità. L’obiettivo principale del summit era definire un piano chiaro e vincolante per garantire finanziamenti sufficienti a proteggere e ripristinare gli ecosistemi naturali in modo equo e giusto.
«Questo accordo aiuta a mantenere la fiducia sulla possibilità di colmare il divario tra le promesse fatte e i finanziamenti da stanziare per proteggere la natura, ma adesso serve mettere i soldi sul tavolo», dichiara An Lambrechts, responsabile della delegazione di Greenpeace alla COP16. «Questo significa garantire rapidamente 20 miliardi di dollari all’anno di finanziamenti pubblici a partire dal 2025 e contributi concreti al Fondo di Cali da parte delle grandi aziende farmaceutiche e agroindustriali che traggono profitto dalla natura, pari almeno all’1% dei loro ricavi. Inoltre, i processi avviati a Roma dovranno eliminare i sussidi dannosi per la natura e creare nuovi strumenti di finanziamento trasparenti, equi e giusti».
Uno dei principali risultati della COP16Bis è stata l’ufficializzazione del Fondo di Cali, pensato per garantire una redistribuzione equa dei profitti derivanti dallo sfruttamento delle Digital Sequence Information (DSI), ovvero le informazioni genetiche digitalizzate di risorse naturali sfruttate dai i settori farmaceutico, cosmetico e biotecnologico. L’idea alla base del fondo è che le multinazionali che traggono profitti da questi dati, spesso scoperti e custoditi per secoli dalle popolazioni indigene, contribuiscano economicamente alla loro protezione. Tuttavia, l’alimentazione del fondo resta su base volontaria e al momento nessuna grande azienda ha ancora confermato il proprio impegno, lasciando in dubbio la sua reale efficacia.
«L’accordo raggiunto a Roma dimostra che la nostra richiesta di passare dalle promesse ai fatti per difendere la natura è arrivata al tavolo dei negoziati. Ora è fondamentale che i Paesi del Nord del mondo rispettino i loro impegni e trasformino le decisioni di questi giorni in finanziamenti concreti per proteggere la biodiversità», dichiara Martina Borghi, campagna Foreste di Greenpeace Italia. «Se questo accadrà, sarà un segnale positivo anche in vista della COP30 sul clima che si terrà a novembre in Brasile. La crisi climatica e la perdita di biodiversità richiedono azioni immediate, non promesse. La mobilitazione efficace di queste risorse è essenziale per affrontare le sfide ambientali con soluzioni reali».