Nei mesi scorsi Greenpeace Italia ha condotto un’inchiesta congiunta con la trasmissione televisiva Presa Diretta per monitorare il riciclo e lo smaltimento dei rifiuti da apparecchiature elettriche e elettroniche (RAEE) nel nostro Paese. I dati raccolti, comunicati in esclusiva nella puntata di Presa Diretta andata in onda su Rai3 nella serata di ieri, domenica 22 settembre, evidenziano le numerose criticità della filiera italiana di smaltimento.

Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, ha raccontato in esclusiva quanto è emerso dal tracciamento dei rifiuti elettronici che ha coinvolto, da Nord a Sud, cinque regioni italiane: Lombardia, Toscana, Lazio, Campania e Puglia. Su 21 dispositivi RAEE (stampanti, schede madri, laptop, smartphone, tv etc.) smaltiti presso isole ecologiche o negozi, in circa tre mesi solo sette hanno raggiunto impianti di smaltimento certificati. Dei rimanenti, cinque sono usciti fuori dalla filiera corretta di recupero, otto non sono stati trasferiti o non risultano più presenti nell’isola ecologica di origine, mentre uno è finito in un impianto registrato ma non certificato. 

Questi numeri confermano le già note scarse performance dell’Italia nella raccolta dei rifiuti elettronici. Nel 2023 si è addirittura registrato un calo nel tasso di raccolta pari al 4,5% rispetto all’anno precedente. Inoltre, il nostro Paese ha raccolto meno della metà dei RAEE richiesti da Bruxelles, raggiungendo solo il 30,2%. Un risultato ben al di sotto del target europeo contenuto nella direttiva 2024/884, che impone un tasso minimo di raccolta del 65% del peso medio delle apparecchiature immesse sul mercato negli ultimi tre anni. A fine luglio la Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione contro l’Italia per il mancato conseguimento degli obiettivi di raccolta e riciclo dei rifiuti in generale e in particolare da apparecchiature elettriche ed elettroniche. Ora il nostro Paese ha due mesi, che scadranno a fine settembre, per rispondere a questa grave  carenza segnalata dall’Unione Europea.

Nel frattempo, la domanda dei dispositivi elettronici cresce senza sosta. Se da un lato l’aumento dei consumi, e di conseguenza dei rifiuti prodotti, pone un serio problema di inquinamento perché alcuni RAEE contengono sostanze tossiche, dall’altro queste apparecchiature contengono anche una quantità rilevante di materie prime (rame, acciaio, alluminio, terre rare) che, se fossero recuperate e riciclate correttamente, potrebbero ridurre la nostra dipendenza dalle importazioni di risorse critiche dall’estero. I RAEE contribuiscono anche a creare le cosiddette miniere urbane, spazi dove vengono portati scarti quotidiani urbani (compresi i dispositivi elettronici) e poi immagazzinati sotto forma di residui. Per questo, le lacune nella filiera di raccolta e riciclo delle apparecchiature elettroniche evidenziate dall’inchiesta di Greenpeace Italia e Presa Diretta rischiano di favorire pratiche di smaltimento illegale e attività estrattive, in evidente contrasto con i principi di una transizione ecologica basata sull’economia circolare.

«Piuttosto che colmare le evidenti lacune nella filiera di raccolta e riciclo, i legislatori europei e nazionali perseguono politiche di estrattivismo che potrebbero presto portare a riaprire o avviare nuove miniere in Italia e in Europa», dichiara Ungherese. «Ancora più pericolosamente, nei prossimi anni potrebbero partire le estrazioni minerarie negli abissi, il cosiddetto Deep Sea Mining (estrazione mineraria in acque profonde). Stiamo andando fuori rotta, meglio realizzare una vera economia circolare inserendo meccanismi incentivanti per lo smaltimento e che valorizzino i rifiuti RAEE».