La seconda sezione civile del Tribunale ordinario di Roma ha rinviato alla Corte di Cassazione la decisione sulla procedibilità del processo civile intentato da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadine nei confronti di ENI e dei suoi azionisti Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), ritenuti responsabili  di danni alla salute, all’incolumità e alle proprietà, nonché per aver messo, e aver continuato a mettere, in pericolo gli stessi beni per effetto delle conseguenze del cambiamento climatico. Sarà la prima volta che la Suprema Corte italiana si esprimerà sulla possibilità di intentare una causa climatica nel nostro Paese.

ENI, CDP e MEF avevano infatti eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito”, di fatto contestando la possibilità di procedere con una causa climatica davanti a una corte ordinaria. Un motivo di improcedibilità contestato da Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini aderenti alla Giusta Causa, che avevano fatto ricorso alla Suprema Corte per chiedere di pronunciarsi in merito. Il provvedimento del Tribunale Civile di Roma ha dunque negato che il ricorso presentato fosse manifestatamente inammissibile riguardo alla tempestività e alla giurisdizione, né manifestatamente infondato nelle ragioni della contestazione. Ha quindi avallato le richieste di cittadine e cittadini, Greenpeace Italia e ReCommon sospendendo il processo ordinario. Sarà quindi la Corte di Cassazione a esprimere la sua posizione vincolante sulle cosiddette climate litigation e sulla loro procedibilità.

«Nei prossimi mesi finalmente sapremo se anche in Italia, come già succede all’estero, è possibile intentare una causa climatica che accerti le responsabilità delle aziende inquinanti. O al contrario se nel nostro Paese, a differenza per esempio dei Paesi Bassi, dove la potentissima Shell è stata condannata in primo grado per gli effetti negativi delle sue attività sul clima, gli interessi delle grandi multinazionali fossili contano più della salute e dell’ambiente», dichiarano ReCommon e Greenpeace Italia.  

Le cause climatiche sono in costante aumento in tutto il mondo: già alla fine del 2022 le Nazioni Unite ne avevano mappate 2.180 in 65 Paesi. In base a uno studio reso pubblico lo scorso giugno dal Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment della London School of Economics and Political Science, si stanno moltiplicando anche le cause contro aziende private, perché con le loro attività contribuiscono a danneggiare il clima e l’ambiente a livello globale. L’ente britannico certifica che dal 2015 sono state avviate circa 230 cause legali contro società e associazioni di categoria, di cui più di due terzi a partire dal 2020.