Alla vigilia della prima udienza della causa civile intentata lo scorso 9 maggio nei confronti di ENI, Cassa Depositi e Prestiti e Ministero dell’Economia e delle Finanze da 12 cittadine e cittadini, Greenpeace Italia e ReCommon, le due associazioni ambientaliste con un report pubblicato oggi mettono in evidenza come, nell’ambito del contenzioso climatico, ENI abbia chiesto una consulenza tecnica a personalità tutt’altro che indipendenti. Anche a chi, a più riprese, ha espresso posizioni negazioniste in fatto di riscaldamento globale. Nella fattispecie si tratta di Carlo Stagnaro, attuale direttore degli studi e delle ricerche dell’Istituto Bruno Leoni, think tank liberista noto anche per aver assunto a sua volta, in più occasioni, posizioni antiscientifiche sulla crisi climatica.

Negli anni Stagnaro ha sostenuto tesi negazioniste diffondendo anche in Italia teorie senza fondamento sui cambiamenti climatici; lasciandosi andare a duri strali contro l’IPCC, ovvero la massima autorità scientifica in materia a livello globale; e intessendo una fitta rete di rapporti con le più note organizzazioni negazioniste globali, con tanto di partecipazione a eventi di “divulgazione” organizzati da think tank che da decenni lavorano per spargere dubbi sull’origine antropica dei cambiamenti climatici (se non addirittura per cercare di confutarla).

Oltre a Stagnaro, ENI ha inoltre scelto tra i propri consulenti Stefano Consonni, professore ordinario di Sistemi per l’energia e l’ambiente del Dipartimento di Energia del Politecnico di Milano, presentato come esperto “indipendente” malgrado le sue collaborazioni pluridecennali con le più grandi aziende globali dei combustibili fossili, come Exxon, BP e la stessa ENI. Un legame profondo e consolidato, quello tra Consonni e il mondo delle società energetiche, che lo ha portato a fare consulenze nonostante il suo ruolo di docente universitario e dipendente pubblico, tanto che nel 2021 l’accademico è stato condannato in primo grado a risarcire al Politecnico di Milano, di cui era dipendente, l’importo di 250 mila euro per aver svolto, senza autorizzazione dell’università, incarichi in favore di società profit.

«Si può ritenere attendibile, nell’ambito di un contenzioso climatico, la consulenza di chi ha spesso sposato in prima persona e diffuso posizioni negazioniste in fatto di cambiamenti climatici? Si può ritenere libero di giudizio un esperto chiamato a dare un parere in merito all’operato di una azienda fossile se questo stesso esperto ha ricevuto in passato compensi da questa stessa compagnia?», chiedono le due organizzazioni, che sottolineano di avere presentato al tribunale solo documentazioni indipendenti e affidabili. «Ci auguriamo che il giudice rigetti le numerose e pretestuose obiezioni mosse da ENI e dalle altre parti e istruisca invece il processo, permettendo un ampio confronto che porti a un radicale cambiamento nelle strategie industriali dell’azienda, facendone un protagonista nel contrasto alla crisi climatica anziché uno dei principali responsabili».

La più grande multinazionale fossile italiana è stata citata in tribunale per i danni cagionati e futuri derivanti dai cambiamenti climatici, a cui ENI ha contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, continuando a investire nei combustibili fossili.
 
Greenpeace Italia e ReCommon chiedono che ENI sia obbligata a rivedere la propria strategia industriale per ridurre le emissioni derivanti dalle sue attività di almeno il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, come indicato dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5°C e a rispettare l’Accordo di Parigi sul clima. Viene poi richiesto che il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Cassa Deposito e Prestiti adottino una politica climatica che guidi la loro rispettiva partecipazione nella società in linea con l’Accordo di Parigi.

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