Da una settimana gli attivisti di Greenpeace stanno bloccando la “Coco”, nave utilizzata nell’Oceano Pacifico dall’azienda The Metals Company (TMC), interessata all’estrazione mineraria in acque profonde (deep sea mining). In tutta risposta, TMC ha avviato un procedimento legale contro Greenpeace International. NORI, consociata interamente controllata da TMC, società canadese sponsorizzata dallo Stato insulare di Nauru, ha presentato un’istanza d’ingiunzione per fermare la protesta di Greenpeace.

L’udienza davanti a un tribunale olandese è prevista oggi alle 14.30: la NORI chiede al giudice di imporre a Greenpeace la sospensione immediata della protesta e una multa fino a 10 milioni di euro, nel caso in cui l’azione pacifica non dovesse cessare. Nonostante la crescente opposizione politica e i negoziati sul deep sea mining in corso presso l’Autorità internazionale dei fondali marini (ISA), TMC ha ripetutamente dichiarato la propria intenzione di avviare queste pericolose attività, al momento bloccate dagli attivisti di Greenpeace. Un’attività che, come riconosciuto dalla stessa azienda nel suo ultimo rapporto, “non può essere sostenibile”.

La causa intentata contro Greenpeace, secondo NORI, ha anche il sostegno dell’Autorità internazionale dei fondali marini (ISA), l’organismo che dovrebbe regolare le attività estrattive in mare. Il segretario dell’ISA ha addirittura scritto una lettera agli Stati membri e a Greenpeace International, chiedendo la fine della protesta “alla luce della minaccia immediata e urgente di gravi danni all’ambiente marino e alla sicurezza della vita in mare in l’area”. Peccato che l’azienda stessa, peraltro in grave crisi economica, abbia confermato nel suo ultimo rapporto che quest’attività “non può essere sostenibile”.

«Non possiamo permettere che per salvare una compagnia sull’orlo del fallimento si consenta di intaccare l’ultimo ecosistema incontaminato del mondo», commenta Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia. «Questa spedizione nel Pacifico è il passo che precede l’avvio delle attività estrattive in alto mare. Una follia, come confermano i continui allarmi della comunità scientifica: non possiamo stare in silenzio».

Oltre 800 scienziati e 24 Paesi hanno chiesto una moratoria alle estrazioni minerarie negli abissi che sono la vera minaccia all’ambiente marino, non di certo la protesta pacifica degli attivisti di Greenpeace. «Gli stretti legami tra un organismo che dovrebbe porsi quale regolatore, come l’ISA, e l’industria mineraria sono sempre più chiari», conclude Giannì. «Agli Stati chiediamo di assumere il chiaro controllo dell’ISA, di mettere la protezione dell’ambiente marino al centro del suo lavoro e di stabilire una moratoria immediata sull’estrazione mineraria in acque profonde».