«Mentre la crisi climatica si aggrava e milioni di persone sono alle prese con maxi bollette e caro energia, ENI annuncia oggi un utile operativo adjusted di gruppo nell’esercizio 2022 di 20,4 miliardi di euro. I profitti più alti di sempre e più del doppio rispetto al 2021, frutto degli altissimi picchi di prezzo raggiunti nel 2022 dalle fonti fossili al centro del suo business, come il gas. La gran parte di questi profitti andrà in forma di dividendi e riacquisto di azioni proprie a vantaggio degli azionisti, per il 70 per cento privati. Una situazione doppiamente oltraggiosa, soprattutto perché anziché investire su una seria svolta verso la decarbonizzazione, l’azienda si limita a fare greenwashing, mentre continua a destinare gran parte dei propri investimenti a quelle stesse fonti fossili che hanno causato e alimentano la crisi climatica. Inoltre, puntare ancora sul gas significa condannare le famiglie e le imprese italiane a pagare bollette molto care anche nei prossimi anni». Così Greenpeace Italia e ReCommon commentano quanto annunciato oggi da ENI dopo l’approvazione dei risultati finanziari per l’anno 2022 da parte del CdA della società.
Più della metà dei profitti di ENI finisce agli investitori tramite dividendi e riacquisto di azioni (share buy-back). Nel contempo il monte investimenti della società non è aumentato, e per tre quarti sarà ancora destinato allo sviluppo del settore fossile, nonostante l’Agenzia Internazionale per l’Energia abbia raccomandato di evitare nuovi investimenti in petrolio e gas per riuscire a limitare l’aumento della temperatura media globale entro la soglia di sicurezza di 1,5° gradi Centigradi. Della restante parte di investimenti dell’azienda, etichettati dalla stessa ENI come “green”, solo una parte molto limitata serve a finanziare nuovi impianti di energie rinnovabili, come denunciato da Greenpeace Italia e ReCommon.
ENI non è l’unica compagnia energetica ad annunciare profitti record nelle ultime settimane. Prima del Cane a Sei zampe è stato il turno di Exxon Mobil (oltre 52 miliardi di euro), TotalEnergies (quasi 34 miliardi di euro), Shell (quasi 38 miliardi di euro) e BP (oltre 26 miliardi di euro).
Per Greenpeace Italia e ReCommon è ora che queste compagnie abbandonino definitivamente le fonti fossili per decarbonizzare urgentemente le proprie attività, e inizino a pagare per le perdite e i danni che hanno causato contribuendo in modo decisivo alla crisi climatica e alle sue devastanti conseguenze per le persone e per il Pianeta. Spetta anche agli investitori nazionali e internazionali, che beneficiano di questi altissimi profitti, assumersi le proprie responsabilità e chiedere con forza al management delle società fossili un drastico cambio di rotta. Greenpeace e ReCommon chiedono inoltre che la tassazione degli extra-profitti delle società dell’oil&gas sia rafforzata dai governi europei e sia resa permanente anziché limitata a congiunture di crisi energetiche, così da liberare maggiori risorse pubbliche per far fronte alla povertà energetica e favorire un’equa transizione verso le fonti rinnovabili.